28 aprile 2021 15:27

John P. McCormick
Democrazia machiavelliana
Viella, 386 pagine, 35 euro

Nel senso comune Machiavelli è soprattutto l’autore del Principe, il libro che, secondo una visione semplificata, permetterebbe ai tiranni di manipolare le folle. In realtà il suo pensiero complesso è difficile da collocare, al punto che la sua eredità è rivendicata da studiosi molto diversi: marxisti che trovano in lui l’esaltazione della fertilità del conflitto e la teorizzazione di uno stato rivoluzionario; élitisti che ne fanno il padre della teoria per la quale sono sempre in pochi a governare; repubblicanisti che lo collegano all’esaltazione della legge che nasce con Cicerone e culmina nelle rivoluzioni europee.

Prendendo le distanze da tutte queste letture, McCormick (che insegna scienze politiche a Chicago) fa di Machiavelli il primo teorico a scrivere che il rischio più grande per la politica non è il popolo, ma le élite che se ne servono per i loro interessi, e che tra gli scopi principali del governo c’è il porre un freno allo strapotere dei ricchi. Nove anni dopo la pubblicazione in inglese, questo testo esce in una bella traduzione italiana (di Anna Carocci). Lo precede un’introduzione in cui l’autore fa il punto delle critiche e delle prese di distanza suscitate e rivendica l’opportunità di usare la riflessione machiavelliana sulla storia della repubblica romana antica e sul comune medievale di Firenze per capire come salvare le attuali democrazie da chi, piegandole ai propri fini, le svuota dall’interno.

Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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