17 gennaio 2015 12:05

Il pensiero comune su Michel Houellebecq è che sia una carogna. Un misantropo, un cialtrone, un provocatore, un impostore, un vigliacco, uno che bluffa, uno che esagera. I nomi che saltano fuori più spesso sono quelli di Zola e Flaubert, ma il pensiero comune vuole che sia uno scrittore mediocre.

Il suo vero nome è Michel Thomas. È nato nella colonia francese della Réunion nel 1958 ed è cresciuto in Algeria. Come spiega sul suo sito, a sei anni i genitori “perdono ogni interesse nei confronti della sua esistenza” e lo affidano alla nonna paterna, Henriette Houellebecq, da cui adotta il cognome. Studia agraria a Parigi, inizia a fare il ricercatore, finisce per fare il programmatore informatico e cade in depressione: “Ho conservato il punto di vista del depresso, ma non ero triste. Ero inattivo. E se un giorno mi suiciderò, sarà non perché sarò triste ma perché di fronte a me avrò cose troppo complesse” (La Stampa, 2001).

Scrive poesie (La ricerca della felicità) e un saggio su Lovecraft (H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita). Nel 1994 esce il suo primo romanzo, Estensione del dominio della lotta. Il successo arriva nel 1998 con Le particelle elementari, il premio Goncourt nel 2010 con La carta e il territorio. Dopo l’uscita di Piattaforma nel 2001 dichiara alla rivista Lire che “la religione più stupida del mondo è l’islam”. Denunciato da alcune associazioni musulmane, vince la causa. Sottomissione è il suo ultimo romanzo, uscito la mattina del 7 gennaio in cui due terroristi islamici hanno ucciso dodici redattori di Charlie Hebdo. Sull’ultimo numero della rivista satirica francese, in copertina, c’era una sua caricatura.

Houellebecq manda ai matti critici e lettori. Goffredo Fofi ha provato a darne una definizione sintetica: irritante e geniale. Tuttavia, al netto delle polemiche e delle provocazioni, ci sono dei suoni, nelle sue pagine, che è difficile trovare nella letteratura contemporanea e questi suoni sono qualcosa di molto simile alla velocità e alla sprezzatura del punk, questi suoni sono stati paragonati a quelli di Céline, ma come ha detto lo stesso Houellebecq andrebbero ricercati più in opere come Lo straniero di Camus, questi suoni fanno così:

Il valore degli esseri e delle cose è di solito di una
precisione estrema
e quando si dice: “Ti amo”
si stabiliscono una critica,
un’approssimazione quantistica,
si scrive una poesia.
La ricerca della felicità

E così:

Per l’occidentale contemporaneo, anche quando gode di buona salute, il pensiero della morte costituisce una sorta di rumore di fondo che si insinua nel suo cervello man mano che progetti e desideri vanno sfumando. Con l’andar del tempo, la presenza di tale rumore si fa sempre più invadente; la si può paragonare a un brusio sordo, talvolta accompagnato da uno schianto. In altri tempi, il rumore di fondo era costituito dall’attesa del regno del Signore; oggi è costituito dall’attesa della morte. Così è.
Le particelle elementari

E così:

Nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti (…) In una situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In una situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società (…) Taluni vincono su entrambi i fronti; altri perdono su entrambi i fronti. Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli.
Estensione del dominio della lotta

Per il resto, è uno di quegli autori che quando parlano, fanno parlare di sé. Queste sono molte delle volte in cui ha parlato, dal 1995 a oggi.

Interviste lette: 16.
Periodo: 1995-2015.
Lunghezza: 19mila caratteri.
Tra i giornali: Paris Review, Corriere della Sera, l’Espresso, Mediapart, Il Sole 24 Ore, La Stampa.
Tra le firme: Stefano Montefiori, Susannah Hunnewell, Sylvain Bourmeay, Stefani Vitulli, Luis Alemany, Christian Rocca.

Com’era da bambino?
Da bambino guardavo in continuazione le cartine geografiche e cercavo di indovinare, a seconda della posizione della città, se la gente di quel villaggio fosse felice o no.
Corriere della Sera, 2010

Vedeva spesso i suoi genitori?
Mia madre, molto poco. Mio padre, sì. Durante le vacanze invernali ed estive. Non eravamo molto legati. Era difficile esserlo con un uomo così. Una persona strana, veramente solitaria. Eppure ero più vicino a lui che a mia madre. L’ho conosciuto meglio.
The Paris Review, 2000

La spaventava?
Ho sempre avuto paura di finire col commettere gli stessi errori di mio padre.
Corriere della Sera, 2010

È vero che è stata la morte dei suoi genitori a spingerla a scrivere Sottomissione?
Sono stati molti, i motivi, penso (…) Ho vissuto a lungo in Irlanda e quando sono tornato in Francia ho trovato grandi cambiamenti, cambiamenti che non sono specificatamente francesi, del resto, ma dell’Occidente in generale. Secondo motivo, forse, il mio ateismo non ha veramente resistito alla serie di perdite che ho subito. Le ho trovate insopportabili, in realtà (…) Il tutto forse è stato aggravato dal fatto che, contrariamente a ciò che credevo, non ero un vero ateo, ma un vero agnostico (…) Questa seconda motivazione è stata probabilmente più forte della prima nello scrivere questo libro.
L’Espresso/Mediapart, 2015

Torniamo alla sua infanzia. Con sua nonna come andava?
Ho vissuto con lei dai sei ai diciotto anni. Ci sono stati due periodi, il primo è stato veramente felice, tra i sei e i dodici anni. Vivevamo in campagna, a Yonne, andavo in bici. Costruivo dighe, leggevo un sacco. Non c’era molta televisione. Era bello. Ma poi ci siamo trasferiti a Crécy-en-Brie. Se ci vai ora, non riesci a farti l’idea giusta. Era molto più rurale all’epoca. Ora sostanzialmente è una periferia. Comunque non ero a mio agio. C’erano troppe persone. Amavo la solitudine della campagna.
The Paris Review, 2000

Leggeva?
Per me leggere, più precisamente leggere in francese, è una droga. Quando ero bambino mi ricordo di avere letto dei cataloghi di sementi, pomodori, piante da giardino, solo perché non avevo nient’altro da leggere.
Corriere della Sera, 2010

Si è laureato in agraria, anche se poi ha fatto il programmatore. Da quell’esperienza è nato Estensione del dominio della lotta, che segna il passaggio dalla poesia alla narrativa.
Mi piacerebbe che non ci fosse alcuna differenza. Una raccolta di poesie dovrebbe poter essere letta difilato, dall’inizio alla fine. Nello stesso modo, un romanzo dovrebbe potersi aprire a qualsiasi pagina ed essere letto indipendentemente dal contesto. Il contesto non esiste. È bene diffidare del romanzo; non bisogna lasciarsi intrappolare dalla storia; né dal tono, né dallo stile. Nello stesso modo, nella vita quotidiana, bisogna evitare di lasciarsi intrappolare dalla propria storia, o, più insidiosamente, dalla personalità che si immagina essere la propria. Bisognerebbe conquistare una certa libertà lirica; un romanzo ideale dovrebbe poter comportare passi versificati o cantati.
Art Press, 1995

È questo, la poesia, per lei?
È soprattutto una visione del mondo più misteriosa. La poesia risveglia cose nascoste, inesprimibili con altri mezzi… e sono sempre sorpreso dal risultato. Talvolta c’entra la musicalità, talvolta no; talvolta è semplicemente una percezione strana, totalmente disimpegnata. È curioso incontrare in se stessi cose inspiegabili; sono sempre più persuaso che la bellezza, non collegata al desiderio, abbia per forza qualcosa di strano. Si può incontrare in un romanzo, ma è molto più raro, si è trascinati dalla meccanica degli avvenimenti e dei personaggi. Senza giocare sulle parole, si può probabilmente dire che la parte attiva in un romanzo è dell’ordine della poesia.
Art Press, 1995

A partire dal primo romanzo, le sue pagine si sono affollate di personaggi che hanno fatto discutere, come se lo spiega?
I miei personaggi non sono né ricchi né celebri; non sono nemmeno degli emarginati, dei delinquenti o degli esclusi. Si possono trovare delle segretarie, dei tecnici, degli impiegati, dei quadri. Persone che perdono talvolta il loro impiego, che sono talvolta vittime di una depressione. Dunque persone del tutto medie, a priori poco attraenti da un punto di vista romanzesco. È stata senza dubbio questa presenza di un universo banale, di rado descritto (tanto più di rado dato che gli scrittori lo conoscono male) a sorprendere nei miei libri. Forse sono riuscito anche a descrivere certe menzogne comuni, patetiche, che le persone raccontano a se stesse per sopportare l’infelicità delle loro vite.
Humanité, 1996

Michel Houellebecq tra i giornalisti dopo aver vinto il premio Goncourt con il romanzo La carta e il territorio a Parigi, l’8 novembre 2010. (Thibault Camus, Ap/Ansa)

È difficile in effetti accostare l’idea di felicità ai suoi libri.

Invece ci sono tanti momenti di felicità. La possibilità di un’isola era costruito proprio sull’idea che un momento di felicità può diventare eterno. L’eterno ritorno, il carattere ciclico del tempo. Non è un’idea pazza, sa? E nulla ci consente in modo rigoroso di confutarla.
Il Giornale, 2010

La accusano di essere nichilista.
Il nichilismo ha una storia assai nota e certificata. A fronte di un movimento di volontaria distruzione del reale, si può affermare che si tratta di nichilismo. Se invece ci si trova davanti a un tentativo di salvare ciò che sta andando male, allora la pulsione non è nichilista. Il tentativo letterario non è nichilista.
Il manifesto, 2010

Sembra credere all’idea che la letteratura possa cambiare il mondo.
Sono le opere di saggistica a cambiare il mondo (…) Se si ha intenzione di cambiare il mondo bisogna dire chiaramente: “Ecco, il mondo è così e questo è quanto va fatto”, senza perdersi in considerazioni romanzesche. Perché non serve a niente.
L’Espresso/Mediapart, 2015

Cosa serve, allora?
Tenuto conto del discorso quasi fiabesco sviluppato dai media, è facile dare prova di qualità letterarie sviluppando l’ironia, la negatività, il cinismo. È dopo che diventa molto difficile: quando si desidera oltrepassare il cinismo. Se qualcuno oggi riesce a sviluppare un discorso al tempo stesso onesto e positivo, modificherà la storia del mondo.
Art Press, 1995

Cosa modificherebbe?
Trovo che sia in atto una rinuncia alla produzione industriale in occidente. Ma la Francia e l’Italia sono i due Paesi che se la possono cavare, in Europa. Questi due Paesi possono uscirne in una modalità turistica, agricola. È una via per il futuro. Ciò che fa perdere tempo è cercare di salvare tutto il resto dell’economia. Diciamo semplicemente che l’occidente sta vivendo pienamente il suo suicidio. Le condizioni produttive fanno sì che non riesca più a riprodursi, dal punto di vista demografico per esempio. Saremo persi, a breve termine. Se continueremo di questo passo, se continueremo a vivere in queste condizioni di produzione, spariremo tutti.
La Stampa, 2010

Nei suoi romanzi spesso individua molte delle colpe di tutto questo nella generazione dei baby boomer che ha fatto il sessantotto.
Il sessantotto non significa un granché per me, non ricordo quasi niente di quei giorni, neanche dove mi trovavo. Ricordo molto meglio lo sbarco dell’ uomo sulla luna, che nessuno rievoca in Francia. Non sono neppure d’accordo con chi sostiene che fu una dichiarazione di guerra dei giovani contro gli anziani, anche se è un errore molto comune. Il sessantotto non è stato un colpo di stato riuscito dei giovani, ma un colpo di stato fallito del marxismo. Anzi, del trotzkismo. Erano i trotzkisti che andavano in giro a diffondere pasquinate. Anche i giovani di allora lottavano per imporsi, ma lo facevano nelle bische e alla radio, con il rock. C’erano molti meno giovani coinvolti nella politica di quanto non si dica. I giovani raggiungono il potere quando il rock and roll diventa popolare prima negli Stati Uniti e poi anche in Europa. In Francia c’è un film molto emblematico di Louis de Funès, Le gendarme de Saint Tropez (1964), che già lo dice molto chiaramente: i vecchi sono persone finite. Il sessantotto, in realtà, è stato meno cruciale di quel film. Ed è stato molto meno cruciale dei festival di Woodstock o dell’isola di Wight. C’è la prova: oggi potremmo ripetere Woodstock; ma ripetere le barricate del sessantotto sarebbe inconcepibile. L’Europa farebbe meglio a celebrare l’anniversario di Woodstock.
Corriere della Sera, 2008

Addossa delle responsabilità anche alle donne.
Quella che è stata definita la “liberazione della donna” conveniva di più agli uomini che vi vedevano l’occasione di un moltiplicarsi degli incontri sessuali. Ne è conseguita una dissoluzione della coppia e della famiglia, cioè delle ultime comunità che separavano l’individuo dal mercato. Credo che sia molto generalmente una catastrofe umana; ma che, anche in questo caso, siano le donne a soffrirne maggiormente. Nella situazione tradizionale, l’uomo si muoveva in un mondo più libero e più aperto di quello della donna; cioè anche in un mondo più duro, più competitivo, più egoistico e più violento. Classicamente, i valori femminili erano permeati di altruismo, amore, compassione, fedeltà e dolcezza. Anche se questi valori sono stati messi in ridicolo, bisogna dirlo chiaramente: sono valori superiori di civiltà, la cui scomparsa totale costituirebbe una tragedia.
Humanité, 1996

In Sottomissione ha drammatizzato tutto questo. Le donne a casa, l’islam all’Eliseo. Cavalca la politica della paura in maniera conformista?
In effetti sfrutto il fatto di incutere paura (…) Oggettivamente fa parte del mio lavoro parlare di ciò di cui parla la gente. Io vivo nella mia epoca.
L’Espresso/Mediapart, 2015

In questo è spesso accomunato a Zola. Chi sono i suoi riferimenti letterari?
I miei grandi riferimenti in letteratura sono Dostoevskij e Conrad. Entrambi hanno dedicato romanzi all’argomento di attualità più importante dell’epoca, ossia gli attentati anarchici e nichilisti, la rivoluzione russa che covava. Sono molto diversi nel modo di trattare il soggetto, ma questi rivoluzionari per loro si dividono in due tipi: farabutto cinico o naif assurdo, talvolta altrettanto pericoloso. Io descrivo invece, quasi unicamente, dei farabutti cinici attraversati talvolta da un pizzico di sincerità.
Corriere della Sera, 2015

Il cinema l’ha influenzata?
Amavo molto Murnau e Dreyer; amavo anche tutto ciò che è stato chiamato espressionismo tedesco, sebbene il riferimento pittorico principale di questi film sia senza dubbio il romanticismo, più che l’espressionismo. C’è uno studio dell’immobilità incantata che ho tentato di trascrivere in immagini e poi in parole.
Art Press, 1995

Se dovesse descrivere il risultato di questo tentativo, il suo stile?
Scrivo frasi di media lunghezza ricche di punteggiatura (…) Una cosa che le persone odiano sono gli avverbi. Io uso gli avverbi. C’è un’altra cosa che salta fuori dal fatto che sono un poeta. I copy editor vogliono sempre che elimini le ripetizioni. A me piacciono le ripetizioni. Perciò non esito a ripetermi. Anzi, penso di essere il romanziere più ripetitivo di oggi.
The Paris Review, 2000

Ha abitudini particolari di scrittura?
Mi sveglio nella notte, verso l’una. Scrivo mezzo addormentato in uno stato di semicoscienza. Progressivamente, mentre bevo caffè, divento più cosciente. E scrivo finché non me ne stufo.
The Paris Review, 2000

Ha bisogno di stare da solo quando scrive?
Per un romanzo, io stacco anche per un anno o due. Da tutto. Scrivere un romanzo può nuocere anche alla vita personale. Trascuro le cure, le persone. E so che queste persone non perdoneranno.
Il Giornale, 2010

Sente di avere delle responsabilità quando lo fa?
No, io mi sento sempre irresponsabile e lo rivendico, altrimenti non potrei continuare a scrivere. Il mio ruolo non è aiutare la coesione sociale. Non sono né strumentalizzabile, né responsabile.
Corriere della Sera, 2015

Come si definirebbe politicamente?
Non ho una visione giusta della società, in realtà me ne frego. Non sono pessimista. Non sono reazionario. Sono conservatore.
Il Sole 24 Ore, 2010

Molti la odiano per questo.
Mi possono odiare senza correre rischi, non sono pericoloso, non mi posso vendicare, non sono nelle giurie letterarie, non ho responsabilità nelle case editrici.
Il Sole 24 Ore, 2010

Di cosa ha paura?
Del dolore. Come tutti.
D di Repubblica, 2010

Scrivere l’ha aiutata?

Scrivere ha cambiato tutto. Sono riuscito a fare qualcosa di interessante per gli altri, ad attirare la loro attenzione.
Io donna, 2014

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