29 marzo 2012 00:00

Francesco Targhetta, Perciò veniamo bene nelle fotografie

Isbn, 248 pagine, 19,90 euro

Solo nella pratica delle ibridazioni si possono cercare nuove vie per l’espressione artistica, condizionata dai generi e dai padroni del mercato? Chi ne è convinto amerà questo esperimento di romanzo in versi che ha il solo torto di essere troppo lungo. Il trentenne Targhetta parte da La ragazza Carla di Elio Pagliarani ma, invece del boom, racconta la morta gora del presente giovanile, il precariato universitario.

Una generazione di lamentosi trenta-quaranta, nella sua quotidianità più frustrante, che viene bene in foto perché non si muove, “brutte copie viventi, / duplicati scadenti dei padri” che guardano ai fratelli minori come a “bimbi / senza speranze che ci odiano / già, ci detestano duri, perché / sanno che toccherà, prima o poi, / anche a noi, e saremo cattivissimi”. Tra appartamenti divisi in tanti e spostamenti tra il paese e Padova o per lidi non più rassicuranti, tra baroni ipocriti, baronali che leggono Alias e ragazze non più allegre dei maschi, tra stordimenti transitori e grandiose feste di matrimonio, in capitoli più malinconici che arrabbiati, è un pezzo di grigia realtà senza veli che ci viene offerto da quest’ardito e riuscito tentativo di raccontare in modi nuovi le pene di una generazione. Senza illusioni: per i perdenti di un’ignobile storia collettiva non si vede nessun riscatto.

Internazionale, numero 942, 30 marzo 2012

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