23 dicembre 2014 15:23

Ecco quattro ragioni per cui la decisione presa la scorsa settimana dal presidente Barack Obama di ristabilire relazioni diplomatiche con Cuba è stata una buona idea.

  1. Il tentativo statunitense di rovesciare il regime di Castro isolando il paese da un punto di vista economico e diplomatico va avanti ormai da 54 anni e non ha mai funzionato. Perseverare nello stesso atteggiamento aspettandosi ogni volta un risultato diverso è una prova di evidente stupidità, se non di vera e propria follia.
  2. Il presidente Obama, in quanto “anatra zoppa” con soli due anni di mandato davanti a sé, non ha niente da perdere riaprendo l’ambasciata statunitense all’Avana e allentando le restrizioni di viaggio imposte ai suoi cittadini. Si prende il merito di essere stato al tempo stesso audace e sensibile, e può farlo con una decisione dell’esecutivo senza bisogno di passare dal congresso.
  3. A un quarto di secolo dalla fine della guerra fredda, negli Stati Uniti c’è un ampio sostegno alla fine della lunga e assurda crociata anticomunista contro Cuba. Secondo un sondaggio dell’Atlantic council svolto all’inizio dell’anno, il 56 per cento degli statunitensi oggi è a favore di un legame più diretto degli Stati Uniti con il regime di Castro, o perfino di una piena normalizzazione delle relazioni. Tra gli ispano-americani, la percentuale sale al 63 per cento.
  4. Perfino in Florida, dove è concentrata la presenza cubana, la questione si è parecchio raffreddata. Gli anziani leader della comunità, che si sono rifugiati qui da Cuba mezzo secolo fa, oppongono ancora resistenza all’instaurazione di relazioni più strette tra Stati Uniti e Cuba, ma la generazione nata negli Stati Uniti vuole la fine della tensione. Secondo il già menzionato sondaggio dell’Atlantic council, il 79 per cento degli elettori di origini cubane in Florida è a favore di un maggiore coinvolgimento o di una normalizzazione delle relazioni.

Purtroppo, sussistono anche due forti motivi per cui la buona idea di Obama non cambierà più di tanto la situazione.

  1. Il Partito repubblicano adesso controlla camera e senato, e l’embargo non può essere abolito senza il consenso del congresso. E questo non succederà presto.
  2. I fratelli Castro controllano ancora Cuba, e anche se fossero entrambi spazzati via da una qualche malattia, la leadership del Partito comunista cubano, di poco più giovane, non sarà disposta a fare il tipo di concessioni che potrebbero indurre la leadership repubblicana a cambiare posizione. Dal punto di vista del mantenimento dello status quo, i repubblicani statunitensi e i comunisti cubani sono “alleati oggettivi”.

L’opposizione dei repubblicani all’iniziativa di Obama ha un senso dal punto di vista politico: non hanno alcun interesse a concedergli una vittoria che possono invece ostacolare. Il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio ha giurato che avrebbe fatto “tutto il possibile” per mantenere l’embargo, e ha minacciato di bloccare la nomina dell’ambasciatore statunitense a Cuba e di impedire i finanziamenti necessari alla costruzione di un’ambasciata all’Avana.

Vi suona un po’ meschino? Forse sì. Ma tenuto conto dell’atteggiamento dei repubblicani al congresso nei confronti dell’amministrazione Obama da sei anni a questa parte, un ostruzionismo pesante contro qualsiasi iniziativa futura di Obama sembrerebbe garantito. L’embargo resterà in vigore.

Dal canto suo, il presidente Raúl Castro - fratello maggiore di Fidel, oggi ufficialmente in pensione e a quanto pare ormai fuori dai giochi - non ha alcuna intenzione di presenziare alla fine del comunismo.

L’economia di Cuba è in pessimo stato, e di recente è ulteriormente peggiorata a causa del brusco declino dell’economia venezuelana in seguito al crollo del prezzo del petrolio. Tenuto conto di quanto Cuba è diventata dipendente dalla generosità del regime venezuelano, sareste portati a credere che Castro potrebbe cercare una salvezza economica migliorando le relazioni tra Stati Uniti e Cuba. Ma vi sbagliereste di grosso.

Negli ultimi trent’anni sono stato a Cuba più o meno ogni cinque anni, di solito in veste di giornalista, ma una volta, all’inizio degli anni novanta, ho portato tutta la mia famiglia - compreso un neonato e i miei anziani suoceri - per mostrare loro com’era l’ultimo regime comunista fuori dall’Asia. L’Unione Sovietica era appena crollata, e i generosi sussidi sovietici che avevano fatto galleggiare il regime cubano per decenni erano finiti.

Il paese era nel caos, e la gente era davvero disperata. Adolescenti di entrambi i sessi si prostituivano per strada, e i miei suoceri sono stati derubati due volte in una settimana al centro dell’Avana. La seconda volta, l’anziano agente della stazione di polizia locale ha tenuto mio suocero (la vittima) in ostaggio, sostenendo che fosse un “testimone” che aveva bisogno di cure mediche, finché io non ho tirato fuori 100 dollari per convincerlo a lasciarlo andare.

Cuba ha attraversato crisi economiche peggiori rispetto a quella attuale, e il regime è sopravvissuto. E l’ha fatto perché a differenza dei regimi comunisti europei che in circostanze simili sono crollati, il nazionalismo rema a favore e non contro il regime cubano. Forse alla fine da quest’iniziativa scaturirà un vero cambiamento, ma di sicuro non prima della fine del 2016.

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