03 giugno 2015 19:25

“Il governo greco farebbe meglio ad agire in fretta, per le banche greche mancano cinque minuti a mezzanotte”, ha detto Andreas Dombret del direttivo della banca centrale tedesca lo scorso fine settimana. E tutti avranno pensato: “Di nuovo? È dal 2010 che più o meno ogni tre mesi qualcuno dice una cosa del genere. Perché dovremmo crederci stavolta?”.

La risposta è che probabilmente non c’è motivo. La capacità dell’Unione europea di schivare la questione e traccheggiare ancora qualche mese non ha eguali. Ma la domanda è sbagliata. Quella giusta sarebbe: perché questa crisi è ancora in corso dopo cinque anni?

Di solito, quando un paese arriva a spendere tutto quello che ha fino alle soglie del fallimento, come ha fatto la Grecia, l’intero ciclo della crisi, del fallimento (o di un pesante intervento del Fondo monetario internazionale) e della ripresa dura molto meno. Invece per la Grecia la fine non appare affatto vicina, sebbene la sua economia si sia contratta di un quarto dal 2010. Ma la Grecia non è un paese normale. È un paese dell’Unione europea.

Quando un paese indipendente non ha più soldi per pagare i suoi debiti e non può chiederne altri in prestito, di solito ha due possibilità. Può raggiungere un accordo con l’Fmi: in cambio di un prestito con cui tirare avanti, il governo promette di ristrutturare l’economia (smettendo di sostenere gruppi sociali o settori economici particolari), di riportare il bilancio in parità (raccogliendo più tasse e tagliando le spese) e, soprattutto, svalutando la moneta.

La Grecia ha fatto le prime due cose, ma non può svalutare la moneta, perché non ne ha il controllo. È bloccata dall’appartenenza all’eurozona, e questo significa che il valore della sua moneta resta alto e che non arrivano investimenti dall’estero come accadrebbe dopo una svalutazione.

C’è un’altra strada per uscire dalla trappola: il fallimento. Se il governo non è in grado di ripagare i suoi debiti, allora li rifiuta. Per qualche anno sarà tagliato fuori dai mercati internazionali, ma già adesso può contrarre prestiti solo a costi esorbitanti, quindi cos’ha da perdere?

Finché il governo è ancora in grado di raccogliere abbastanza soldi con le tasse per rispettare i suoi impegni interni, è ancora in gioco. Dopo qualche anno offre a tutti i creditori di saldare il dieci per cento di quanto dovuto. Loro accettano perché è sempre meglio di niente ed ecco che può di nuovo contrarre prestiti internazionali.

Un fallimento non è necessariamente un disastro. La Grecia è fallita già sette volte nella sua storia, e quasi tutti i casi precedenti sono stati accompagnati da una svalutazione che ha permesso all’economia di riprendersi. Ma stavolta non è fallita, perché questo avrebbe comportato quasi sicuramente l’uscita dall’euro, che per i greci è il simbolo dell’appartenenza all’Europa che conta.

La Grecia non avrebbe mai dovuto avere il permesso di entrare nell’euro, ma il governo greco ha nascosto le dimensioni del suo debito e l’Unione europea ha chiuso un occhio. I successivi governi greci, ugualmente corrotti e irresponsabili, hanno sfruttato l’appartenenza all’euro per contrarre ulteriori prestiti.

Le banche europee, soprattutto quelle tedesche e francesi, hanno ignorato in modo sconsiderato i rischi che correvano prestando soldi a un paese che viveva evidentemente al di sopra delle sue possibilità, perché pensavano che le banche centrali avrebbero salvato la Grecia piuttosto che permettere il fallimento di un membro dell’eurozona. Tutti hanno le loro colpe, e l’abbuffata alimentata dal debito è andata avanti per anni, finché il crollo del 2008 ha messo fine alla festa.

Il debito greco ammonta al 175 per cento del pil. Nessun altro paese sviluppato ha mai raggiunto questi livelli di debito in tempi di pace senza fallire. L’Unione europea però continua a dare alla Grecia i soldi sufficienti a evitare un fallimento – e il 90 per cento di quei soldi tornano dritti alle banche tedesche, francesi e di altri paesi europei sotto forma di rimborso dei debiti.

La Grecia non riuscirà mai a ripagare i suoi debiti. O i suoi creditori accetteranno di cancellarne almeno metà, o alla fine dovrà fallire. Qualsiasi altra strada non farà che prolungare l’agonia della Grecia. L’economia greca in realtà è già talmente danneggiata che c’è da chiedersi se il governo sia in grado di raccogliere all’interno del paese il denaro sufficiente per mantenere in piedi i servizi essenziali dopo il fallimento.

I greci hanno già sopportato molte difficoltà per restare nell’euro, e sembrano pronti a sopportarne altre. L’Unione europea è disposta a dar loro sufficiente respiro per impedire il fallimento, perché i suoi membri temono per il futuro dell’euro se sarà dimostrato che è davvero possibile uscirne. Tuttavia, le concessioni che l’Unione è disposta a fare non basteranno a rimettere la Grecia sulla strada della ripresa.

Perciò questa situazione intollerabile andrà avanti ancora per un po’, finché i greci diranno basta. Mancheranno cinque minuti a mezzanotte ancora per qualche mese, forse persino fino all’anno prossimo.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it