28 ottobre 2015 16:25

È facile definire la strategia statunitense in Siria, anche se è più una lista dei desideri che una vera strategia. Si tratta di “contenere” il terribile gruppo Stato islamico che controlla ormai la Siria orientale e l’Iraq occidentale, oltre che rovesciare la brutale dittatura di Bashar al Assad e sostituirla con delle forze ribelli “moderate”. Ma qual è invece la strategia russa?

È passato ormai un mese da quando l’aviazione russa ha cominciato a bombardare sia le truppe dello Stato islamico sia i ribelli “moderati”. Per ogni bomba russa caduta sulle forze jihadiste, ce ne sono dieci che hanno colpito quelle “moderate”, poiché sono queste ultime che hanno costretto l’esercito siriano a battere in ritirata a partire dalla scorsa primavera. Adesso le truppe del governo si sono riprese un po’ di quel terreno, ma non sono in grado di riconquistare tutta la Siria. E allora che succederà?

La Russia non combatte mai senza una strategia, che però stavolta è stata pianificata in fretta e furia. Mosca non aveva previsto un intervento militare in Siria fino allo scorso luglio, quando l’ufficiale iraniano incaricato del sostegno militare ad Assad, il generale Qassem Soleimani, è volato a Mosca per avvertire il presidente Vladimir Putin che l’esercito siriano era sul punto di crollare.

Soleimani ne era stato informato direttamente dai consulenti militari iraniani impegnati sul campo. Dopo quattro anni di guerra l’esercito siriano era ridotto a meno della metà della sua capacità militare prebellica, le diserzioni e i renitenti alla leva erano in aumento e il morale stava rapidamente crollando.

La strategia russa non può avere come obiettivo la riunificazione della Siria sotto Assad

Né l’Iran né la Russia volevano che i jihadisti prendessero il controllo di tutta la Siria, come invece sarebbe successo: i cosiddetti ribelli “moderati” esistono a malapena. Il gruppo dominante nell‘“esercito della conquista” che si è impadronito della Siria nordoccidentale è il fronte Al nusra, un clone del gruppo Stato islamico dal quale si è staccato nel 2013. Il Fronte al nusra non è affatto “moderato”: è la filiale siriana di Al Qaeda.

Se Assad dovesse cadere, lo Stato islamico e il Fronte al nusra finirebbero per controllare tutta la Siria: bisognava fare subito qualcosa. Quel “qualcosa” è stato l’intervento dell’aviazione russa in supporto all’esercito siriano. Ma gli attacchi aerei non sono una strategia, sono una soluzione temporanea.

I bombardamenti hanno fermato l’avanzata dei ribelli per ora, ma la strategia russa non può avere come obiettivo la riunificazione della Siria sotto Assad: sanno che l’esercito siriano è troppo debole e fragile per un simile obiettivo. Ci dovrà essere quindi una qualche forma di accordo diplomatico, e sta cominciando a emergere qualche segno di ciò che la Russia ha in mente.

Putin insiste sul fatto che non accetterà una divisione della Siria tra il governo di Assad (che controlla ancora buona parte della cosiddetta “Siria utile”), lo Stato islamico nel nordest e un altro mini-stato islamista guidato dal Fronte al nusra nel nordovest. Ma questa suddivisione ha già avuto luogo sul terreno, e un cessate il fuoco la congelerebbe senza che nessuno debba ammettere che è definitiva.

Gli Stati Uniti non possono prendere la guida nei negoziati per un cessate il fuoco poiché, formalmente, stanno ancora tentando di rovesciare Assad. Per questo continuano a coltivare la fantasia che esista una significativa opposizione “moderata” tra i ribelli siriani. Gli Stati Uniti sono ulteriormente limitati dal fatto che i suoi principali alleati musulmani nella regione, la Turchia e l’Arabia Saudita, vogliono la caduta di Assad a ogni costo.

Ora che i russi hanno arginato l’avanzata dei ribelli, un cessate il fuoco diventa teoricamente possibile. Per questo motivo il segretario di stato americano John Kerry ha accettato d’incontrare il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov il 23 ottobre a Vienna. Anche la Turchia e l’Arabia Saudita hanno partecipato all’incontro, e il 30 ottobre è previsto un nuovo vertice a cui dovrebbero partecipare anche altri paesi.

Alcune ipotesi sul futuro

È possibile che da questo processo emerga un cessate il fuoco. Lavrov sostiene di essere in grado di ottenere l’accordo di Assad. Facciamo quindi un salto in avanti e valutiamo che aspetto avrebbe la Siria. Anche nella migliore delle ipotesi, non sarebbe comunque una bella situazione.

Assad manterrebbe il controllo di tutte le grandi città della Siria tranne Aleppo, che è ormai un cumulo di macerie, e di quasi due terzi della popolazione. Il gruppo Stato islamico resterebbe al potere nella Siria orientale (e nell’Iraq occidentale) e continuerebbe a decapitare e crocifiggere la gente. Il Fronte al nusra controllerebbe la parte nordoccidentale insieme ai suoi alleati, imponendovi una forma un po’ meno estrema di governo islamista.

Il cessate il fuoco probabilmente non sarebbe assoluto, poiché difficilmente lo Stato islamico lo accetterebbe. Ma almeno i massacri si fermerebbero nel resto della Siria, e tutti gli altri potrebbero concentrarsi sulla lotta allo Stato islamico, qualora si sentissero in vena di farlo. È il meglio che ci si può aspettare.

Se non ci sarà un accordo per il cessate il fuoco, i russi continueranno a sostenere Assad per un po’, ma non hanno alcuna intenzione di sostenere delle perdite. Nessun altro attore esterno – Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita o chi per loro – è disposto a inviare truppe di terra nella lotto contro il gruppo Stato islamico. E quindi, alla fine, i jihadisti potrebbero comunque conquistare la Siria.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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