13 maggio 2019 12:53

Donald Trump sta facendo il gioco duro con la Cina per quanto riguarda il commercio e i più ansiosi temono che possa dare avvio, inavvertitamente, a una vera e propria guerra commerciale. La principale minaccia tuttavia è che spinga prima la Cina e poi tutto il mondo verso una grave recessione.

Sono passati dieci anni dall’ultima recessione (quella del 2008- 2009) ed è stata una cosa seria. Le recessioni tendono a ripresentarsi circa una volta al decennio. Sarebbe quindi giunto il momento della prossima, e l’economia cinese è così instabile che un qualsiasi shock di un certo peso potrebbe spingerla nel baratro. Subito dopo toccherebbe al resto del mondo.

Una settimana fa, secondo entrambe le parti, l’accordo commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina era quasi stato raggiunto, ma poi (secondo Washington) Pechino ha cominciato a “tirarsi indietro” su alcune parti dell’accordo precedentemente accettate. Washington dice probabilmente la verità: per il governo cinese questa è praticamente una procedura abituale nelle fasi finali di qualsiasi negoziato.

L’odore della paura
Trump ha quindi risposto imponendo nuovi e pesanti dazi sulle esportazioni cinesi, che entreranno in vigore in meno di una settimana a meno che Pechino non faccia marcia indietro. Il 17 maggio, secondo la tempesta di Twitter lanciata da Trump il 12 maggio, l’attuale dazio del 10 per cento, che riguarda esportazioni cinesi negli Stati Uniti per un valore di 200 milioni di dollari, sarà più che raddoppiato, toccando il 25 per cento. Anche altre esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, attualmente non tassate e di un valore pari a 325 miliardi di dollari, saranno “presto” sottoposte a una tassa doganale del 25 per cento.

Decenni d’esperienza nel mercato immobiliare di Manhattan hanno abituato Donald Trump a riconoscere l’odore della paura, e ha ragione: i cinesi sono terrorizzati. Ma non sa niente di commercio o dell’economia cinese, e quindi non capisce tutte le implicazioni della cosa (stiamo parlando di una persona che sostiene a gran voce che i cinesi pagheranno questi nuovi dazi mentre, ovviamente, saranno gli importatori statunitensi a farlo).

Il decantato 6 per cento di crescita annuale dell’economia cinese non è altro che il frutto di una contabilità creativa

I dirigenti cinesi sono terrorizzati perché la loro economia danza già sull’orlo di una terribile recessione. Hanno evitato l’ultima inondando l’economia di credito a buon mercato e scatenando un boom di investimenti che ha mantenuto alta l’occupazione, soprattutto nell’edilizia. Ma un trucco del genere funziona una volta sola.

Agli incroci principali delle cento più grandi città cinesi si stagliano delle “torri oscure”: edifici residenziali da quaranta o cinquanta piani con all’interno pochissimi residenti, a volte nessuno. Si stima che servirebbero quattro anni di pausa nelle costruzioni per vendere tutte le abitazioni oggi invendute.

Ma l’attività di costruzione continua, anche se a un ritmo leggermente più lento. Il decantato 6 per cento di crescita annuale dell’economia cinese non è altro che il frutto di una contabilità creativa. Almeno la metà deriva dalla costruzione di cattedrali nel deserto come le “torri oscure”, che creano posti di lavoro ma non produrranno mai un adeguato utile sugli investimenti.

Verso il baratro
Nel frattempo l’economia reale cinese (tasso di crescita tra il 2 e il 3 per cento) sta rallentando fino quasi a fermarsi. Lo scorso anno, per la prima volta in un quarto di secolo, le vendite di automobili nuove in Cina sono effettivamente calate quasi del 6 per cento. Un duro colpo alle esportazioni verso gli Stati Uniti, il principale mercato singolo, potrebbe spingerla nel baratro.

La Cina è ormai un attore globale d’importanza tale che il resto dell’economia mondiale sarebbe probabilmente trascinato verso la recessione: la situazione sarebbe molto peggiore dei classici due o tre anni di crescita lenta o assente, perché in realtà nessun paese importante si è ancora ripreso dall’ultima recessione.

“Se dovessimo affrontare uno shock, saremmo in una condizione peggiore di dieci anni fa”, ha dichiarato il premio Nobel Paul Krugman

Il principale strumento con cui gli stati combattono le recessioni è il taglio dei tassi d’interesse, ma questi sono già prossimi allo zero nella maggior parte delle grandi economie, a causa dei drastici tagli effettuati l’ultima volta. Inoltre il debito degli stati è molto più alto di un decennio fa, e non ci sarebbe alcun sostegno della popolazione all’idea di salvare nuovamente le banche con il denaro dei contribuenti.

“Se dovessimo affrontare qualche tipo di shock, oggi saremmo in una condizione peggiore di dieci anni fa”, ha dichiarato il premio Nobel per l’economia Paul Krugman in una recente intervista a Bloomberg. La Cina è in condizioni particolarmente difficili. Il suo debito complessivo, perfino secondo le poco affidabili statistiche ufficiali, è quasi il triplo del suo pil, ovvero la soglia oltre la quale il campanello d’allarme comincia a suonare.

E quindi cosa succederà se l’imponente aumento dei dazi voluto da Trump non spingerà la Cina ad alzare bandiera bianca sulle questioni rimaste sospese nei negoziati commerciali, qualunque esse siano? Cosa succederà se Xi Jinping e i suoi decideranno di perseguire una linea dura invece di perdere la faccia?

Probabilmente la Cina scivolerebbe verso un’enorme recessione, trascinando con sé il resto del mondo. Forse non una recessione grave come quella del 2008, ma di sicuro molto grave, e probabilmente molto lunga.

E potrebbe succedere anche altro. La versione cinese del “contratto sociale” prevede che il potere e i privilegi del sistema autocratico postcomunista alla guida del paese sia tollerato solo finché gli standard di vita delle persone continuano a crescere rapidamente. Ma stanno già stagnando. Come reagirebbe la popolazione cinese se la sua qualità di vita cominciasse davvero a declinare? Molto male, con ogni probabilità. Viviamo tempi interessanti.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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