19 luglio 2016 11:07

Nel settembre del 2015 Jeremy Corbyn è stato eletto segretario del Partito laburista britannico. Era sempre stato un ribelle, un parlamentare senza incarichi (di quelli che siedono in fondo al parlamento, e si chiamano quindi back bencher), un attivista che aveva passato una minima parte del suo tempo nelle istituzioni. La sua vittoria è stata una grande sorpresa per tutti. I candidati ufficiali, convinti che la battaglia per la segreteria si sarebbe svolta tra loro, improvvisamente si sono trovati ad affrontare una sfida che veniva dalla sinistra del loro partito e che avevano assolutamente sottovalutato.

La vittoria di Corbyn è stata travolgente, grazie al nuovo sistema che permetteva alle persone di iscriversi temporaneamente per votare, ma è stata anche espressione di una forte insoddisfazione nei confronti delle politiche moderate e spesso favorevoli all’austerità scelte dal partito dopo la crisi del 2008, e dal New labour di Tony Blair negli anni precedenti.

La vittoria di Corbyn ha portato nel partito molte persone nuove, soprattutto giovani. Ha favorito anche il ritorno di parecchi militanti “perduti”, quelli che se n’erano andati durante i lunghi anni del blairismo e che si sono ritrovati – almeno in parte – nel linguaggio più radicale e nelle politiche promesse da Corbyn. Improvvisamente le assemblee locali erano popolate di persone che non le avevano mai frequentate o che avevano solo un lontano ricordo dell’attivismo politico.

Data la sua vecchia ostilità nei confronti dell’Unione europea, per Corbyn la Brexit era un problema

Io ero uno di quegli iscritti perduti. Mi ero allontanato dal partito nel periodo del New labour, a causa della guerra in Iraq, dell’ortodossia economica, del tradimento del suo passato, dei suoi ideali socialisti e del rapporto con i sindacati. Il New labour aveva vinto le elezioni ma, secondo me, aveva venduto la sua anima. Molte volte ho perfino preferito votare i Verdi.

La prima assemblea a Bristol all’inizio è stata entusiasmante. Tutti si presentavano tra loro. Molti dicevano che era la loro “prima volta” a un’assemblea. Altri, come me, ammettevano di essersi riavvicinati al partito. Ma è apparso immediatamente chiaro che molti di quelli della vecchia guardia – quelli che erano rimasti nel Labour negli anni di Blair e Brown – erano profondamente sospettosi nei confronti dei nuovi e di quelli che erano tornati. Chi era quella gente? Erano corbyniani? Che ci facevano lì?

A me invece è apparso subito chiaro che il Labour era diventato un partito puramente elettorale, pronto a combattere per vincere le elezioni, ma lontanissimo dall’idea di lottare per una qualsiasi causa. Si avvicinavano le elezioni amministrative, e i nuovi iscritti sono stati invitati ad andare casa per casa per cercare di convincere le persone a votare laburista. Ho trovato questo approccio molto fastidioso. Naturalmente le elezioni sono importanti , ma a me interessavano anche le idee, le campagne, le battaglie di principio. E chiaramente, molti dei giovani e dei nuovi iscritti erano d’accordo con me. L’invito a rastrellare voti li scoraggiava e quasi li indisponeva. Non interessava a nessuno sapere chi fossero e perché fossero lì? Non si sentivano affatto ben accetti.

Il “golpe” dei parlamentari laburisti

Inoltre, il modo in cui venivano prese le decisioni politiche e scelti i candidati non dava proprio l’idea di democrazia. Le strategie non erano chiare. Nessuno si prendeva la briga di spiegare ai nuovi venuti come funzionavano le cose. Girava voce che sarebbe stato opportuno dar loro il benvenuto, ma nessuno faceva nulla in proposito. Tutto procedeva come al solito. Com’era prevedibile, molti dei neoiscritti tacevano. O venivano messi a tacere. Qualcuno non è mai più tornato.

Corbyn non ha mai riscosso molte simpatie in parlamento. La maggior parte dei suoi colleghi era decisamente contraria alla sua visione politica. Alcuni lo avevano dichiarato subito, altri si erano presi un po’ di tempo. Dicevano che non poteva vincere, che non era un leader. Data la sua vecchia ostilità nei confronti dell’Unione europea, per Corbyn la Brexit era un problema. Era favorevole a restare, ma solo in senso negativo. Durante l’assemblea in cui l’ho sentito parlare, ha detto ai presenti di votare remain per non perdere i propri diritti. Durante la campagna pochissimi politici, compreso lui, hanno avuto qualcosa di positivo da dire sull’Ue. Alla fine, un buon numero di elettori laburisti, soprattutto (a quanto sembra) nelle zone più povere e proletarie dell’Inghilterra e del Galles, ha votato per uscire.

Una volta visto il risultato del referendum, i parlamentari laburisti contrari a Corbyn hanno fatto quello che è stato definito un “golpe”. Prima, un buon numero di loro si è dimesso dal governo ombra, in modo da provocare il massimo danno a Corbyn. Poi lo hanno sfiduciato, e più di 170 hanno espresso un parere negativo su di lui. Ma Corbyn ha resistito e si è rifiutato di dare le dimissioni. Ha continuato a sostenere che ad affidargli quel mandato era stato il partito, e non i suoi colleghi in parlamento.

Ora ci sono due partiti laburisti. Sono compatibili tra loro? Non proprio. Ci sarà una scissione? Può darsi

A quel punto i suoi oppositori potevano fare una sola cosa: indire una nuova elezione del segretario. Il problema era che probabilmente Corbyn avrebbe vinto di nuovo. Allora si è fatta avanti Angela Eagle, una rappresentante della destra del partito (favorevole alla guerra e all’austerità). Ma non era nemmeno certo che Corbyn si sarebbe potuto ricandidare. La prima volta, in parlamento aveva racimolato appena le firme sufficienti per entrare in lista. Ci sarebbe riuscito di nuovo? Secondo lo statuto, il segretario in carica non avrebbe bisogno di essere nominato, ma qualcuno la pensava diversamente.

La settimana scorsa, il Comitato esecutivo del partito ha deciso che dopotutto Corbyn poteva essere in lista. Ha detto anche alle sezioni locali (molte delle quali nelle ultime settimane avevano espresso il loro sostegno a Corbyn) di disdire tutte le assemblee e ha cercato di cambiare il funzionamento delle votazioni. È stato ed è ancora un grande caos. Qualcuno sta preparando un’azione legale. In breve, c’è una situazione di confusione e grande discordia.

Nel frattempo, dall’altra parte, i tory si sono subito compattati intorno a Theresa May, che si è affrettata a eliminare quello che rimaneva del “nuovo corso” di David Cameron. I voti che perderà l’Ukip è molto probabile che ora tornino a loro.

Adesso ci sono due partiti laburisti a livello di sezioni locali e in parte anche in parlamento, dove la maggior parte dei deputati è ostile a Corbyn e i suoi alleati sono pochissimi. Il primo è la vecchia macchina burocratica del passato, che vede il suo ruolo essenzialmente legato al ciclo elettorale, e la politica come uno strumento per occupare posti di potere. Il secondo è un mix di attivisti, persone “comuni” e abitanti delle grandi città interessati a difendere i servizi pubblici e delusi dalla Politica nazionale (con la P maiuscola). Sono compatibili tra loro? Non proprio. Ci sarà una scissione? Può darsi.

Se Corbyn sarà sconfitto, molti dei suoi sostenitori se ne andranno. Lui tornerà a occupare gli ultimi banchi del parlamento e il partito continuerà a essere una macchina elettorale. Ma se vincerà, ci sono buone probabilità che la maggior parte dei parlamentari laburisti formi un nuovo partito. Sarà una scissione storica molto simile a quella dei socialdemocratici del 1981, che aiutò Margaret Thatcher a vincere le elezioni nel 1983 e nel 1987. Comunque andranno le cose, non c’è dubbio che il Partito laburista – fondato nel 1900 – sta vivendo la più grande crisi della sua storia.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it