13 maggio 2011 12:38

C’è una principessa nella testa di ognuna di noi. Dobbiamo distruggerla. Mentre la stampa continua a banchettare sul culto di Kate Middleton, le imprese lucrano sull’insaziabile appetito delle ragazze per i gingilli principeschi: diademi fasulli e manuali di moda alimentano la speranza collettiva che un giorno, se saremo abbastanza buone e belle, anche noi potremo sposare un principe.

Quest’ondata zuccherosa di kitsch rosa scintillante è cominciata a metà degli anni ottanta, amplificando un innocuo sogno a occhi aperti fino a trasformarlo in una spaventosa allucinazione collettiva di buone maniere premiate con privilegi regali. Da quando Disney ha lanciato la sua linea di prodotti Principesse, nel 2000, puntando a infilare tre o quattro ninnoli luccicanti nella stanza di ogni ragazzina, l’ondata è diventata uno tsunami. La linea Principesse ora vale quattro miliardi di sterline ed è il più grande franchise per bambine del mondo. Ma la fiaba non coinvolge solo le più piccole: anche le donne adulte giocano a mascherarsi, organizzano feste in costume da principessa e accorrono a vedere il vestito da sposa di Diana che fa il giro degli Stati Uniti, mentre scrittrici serie dedicano lunghi articoli molto approfonditi ai minimi dettagli dell’esperienza postnuziale di Kate. Siamo tutte impazzite?

Kate Middleton è la perfetta principessa di oggi, nel senso che appare sostanzialmente senza carattere: una bambola da vestire per l’epoca dell’austerità. I nuovi muscoli reali sembrano così rigidamente contratti in quel perenne e lucidato sorriso di docile modesta arrendevolezza che quando ha aperto la bocca per parlare durante la cerimonia in mondovisione, sono sobbalzata sulla sedia. Alla fine si è scoperto che ha detto solo “Sì”, come se qualcuno avesse tirato una cordicella dietro quell’abito principesco per attivare una suono di rituale accettazione.

Per essere una fiaba è sorprendentemente priva di fantasia.

Il breve cammino di Kate da figlia di un milionario a duchessa di Cambridge è stato malamente adattato al vecchio schema di Cenerentola, con commentatori sdolcinati impegnati a descriverla come una donna qualunque che, grazie al fatto di essere carina, poco invadente e opportunamente sottopeso, ha ottenuto in prestito un diadema da principessa e una vita di confronti con la madre di William, tragicamente scomparsa. Middleton non è certo la ragazza della porta accanto, ma il culto della metamorfosi in principessa è, a ben vedere, un culto di mobilità sociale, una fantasia di tradimento di classe grazie alla quale le brave bambine crescendo riescono a ottenere cameriere e maggiordomi. Famosi libri per ragazzi come Il manuale della principessa hanno interi capitoli su come trattare la servitù. Questa è la suprema fantasia della metamorfosi, una favola di autopromozione con volant e lustrini che si dà il caso implica una rigorosa osservanza delle regole della femminilità contemporanea: sorridi e sta’ zitta, sii bella e fatti strada, così verrai ricompensata.

Lo stesso principe azzurro, come osserva Peggy Orenstein nel suo ottimo libro Cinderella ate my daughter (Cenerentola ha mangiato mia figlia) è “secondario rispetto a questa fantasia, nella migliore delle ipotesi una deplorevole necessità”. Una volta infilato l’anello reale al regal dito, una volta acciuffato il vostro principe, nel mondo del reality farsesco e davvero inquietante in onda su Sky, Principe cerca moglie, la sua parte nella storia è finita e la realtà della vita coniugale non compare affatto. Questa visione spietata e mercenaria delle relazioni non è certo un modello positivo per i giovani.

Orenstein osserva che questa principemania è concepita da alcuni genitori come una forma di difesa dalla “sessualizzazione precoce”: il portamatite con il coniglietto di Playboy e le magliette da lolita che altre bambine reclamano a gran voce. Le principesse sono viste come una innocente fantasia che offre virtuosi vantaggi rispetto ai lecca-lecca e ai volteggi intorno al palo della puttanaggine adolescenziale. Sono l’unica a trovare questa scelta non proprio entusiasmante? Alle ragazze vengono offerti due modelli antitetici di femminilità docile e pseudoliberata: la principessa e la pornostar. È un’alternativa che esiste da secoli: vergine o puttana, un bel principe o un bel pappone, chi ti vuoi scopare per conquistare fama e fortuna? Oggi lo spettro colorato delle aspirazioni femminili va solo dal pallido rosa pastello allo sgargiante rosa sexy, con un’occasionale deviazione per il bianco nuziale. Ma lì fuori c’è un intero arcobaleno di esperienze tra cui le ragazze possono scegliere.

La mania delle principesse non è solo un fallimento del femminismo, ma un fallimento dell’intera società che non sa rispettare e valorizzare le sue giovani donne offrendogli qualcosa di più di una inconsistente e rosa fantasia da vissero sempre felici e contenti. Non c’è niente di male nel fantasticare un po’, ma per le bambine di tutto il mondo ci sono sogni migliori che voler solo essere carina come una principessa.

*Traduzione di Gigi Cavallo.

Internazionale, numero 897, 13 maggio 2011*

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