Lo scorso 25 settembre, con una decisione che ha avuto poca risonanza in Italia, il settimanale londinese Time Out – la storica testata di entertainment listings, cioè, di consigli su cosa vedere o fare in città, giorno per giorno – ha abbandonato il prezzo di copertina di 3,25 sterline (circa 4 euro) per diventare un freesheet, un giornale gratuito. La vicenda è stata riportata e approfondita dal Financial Times.
È vero che negli ultimi tempi le vendite di Time Out erano calate dal picco di 90mila copie di qualche anno fa a circa 50mila. Ma prima di vedere la cancellazione del prezzo di copertina come un segnale di resa, tiriamo un po’ di somme.
Se si fa un giornale a pagamento, i costi di distribuzione sono alti, e cambia poco se si vendono 50mila o 200mila copie. Bisogna comunque fare arrivare la testata ai circa ottomila punti vendita di Londra e dintorni, anche a quelli che vendono una sola copia. Per non parlare degli abbonati. I
freesheets, invece, non sono distribuiti in edicola. Sono lasciati in punti di grande affluenza, spesso davanti alle stazioni della metropolitana, per esempio la popolare Underground londinese. Da ottomila, i “punti vendita” calano così a circa 300, e sono molto più circoscritti di prima: quasi tutti sono in città, non in periferia. Certo, servono qualche gabbietta per contenere le copie e qualcuno che le rifornisca, ma sono costi irrisori.
Le conseguenze? Time Out ha sestuplicato la sua tiratura, da 50mila a 300mila copie (circa mille per ogni punto di distribuzione). Ne consegue che adesso può vendere una pagina di pubblicità a 6.500 euro invece che a 2.500. E come sappiamo tutti la maggior parte delle testate commerciali campa di advertising, non di vendite (recentemente un mio collega giornalista, in un momento da bicchiere mezzo vuoto, mi diceva: “Ti rendi conto che ormai serviamo solo per vendere pubblicità?”).
I vertici di Time Out si dichiarano fiduciosi che la mossa possa ribaltare la situazione finanziaria non proprio rosea della testata. E forse hanno ragione. Un’altra storica testata londinese, il London Evening Standard, di proprietà del magnate russo Evgenij Lebedev, è diventato freesheet nel 2009. Stampa 700mila copie ogni giorno e dopo anni di perdite ha quasi raggiunto il pareggio di bilancio.
Nuovi professionisti
Quali sono le conseguenze per i giornalisti? Per quanto riguarda l’Evening Standard, posso dire che le tariffe che pagano ai freelance – circa 250 euro per mille parole – non sono cambiate (in un momento in cui molto testate stanno abbassando le loro pay rates). Per quanto riguarda Time Out, invece, lascio la parola a un mio caro amico che ci lavora. Chiamiamolo John. John mi scrive che:
“Ormai Time Out ha quasi cinque milioni di utenti mensili sul sito, ma vendeva sempre meno copie del settimanale cartaceo. Dunque la grande sfida non era solo quella di rendere il settimanale gratuito, ma di renderlo diverso dal sito. Il cartaceo ha scelto di abbandonare i listings: se vuoi sapere l’orario, il prezzo eccetera di ogni singolo film, spettacolo, mostra e così via, devi andare sul sito. Il settimanale è diventato piu snello, ci sono più pagine di pubblicità e sia la vesta grafica sia gli articoli sono orientati a un pubblico più largo”.
“Per fare questo cambiamento radicale, certo, devi allontanarti dai tuoi abbonati e lettori storici e andare a cercare un nuovo pubblico, o un pubblico di ex lettori, che possa apprezzare il nuovo invece di rimpiangere il settimanale che ha perso”.
“Lo stato d’animo in redazione è piuttosto ottimista-realista. Abbiamo trovato un modo di tenere in vita i nostri interessi personali, dalla danza alla musica elettronica al cinema, conservando una voce critica indipendente, e diventando di nuovo un punto di riferimento per i londinesi. Inoltre, in quanto giornalisti dell’epoca digitale, la maggior parte di noi ha una visione che abbraccia varie piattaforme, dalla carta stampata ai social network agli eventi dal vivo. Ci rendiamo conto che quello che non facciamo più in un formato cartaceo possiamo continuare a farlo in altri formati”.
“Non tutti i miei colleghi sono contenti. Quelli che scrivono di forme d’arte più specializzate si sono visti tagliare il numero di pagine e di parole a disposizione e alcuni temono per il posto di lavoro. Altri si lamentano che scrivere per un pubblico di 300mila lettori anziché di 50mila impone uno stile più popolare, non consente di essere esotici nella scelta di soggetti da intervistare o temi da affrontare. Ma la maggior parte ha raccolto la sfida e la vede come un’occasione per rinnovare il proprio repertorio giornalistico”.
Credo che John abbia ragione. Bisogna vigilare sulle conseguenze deontologiche dell’assestamento del mestiere del giornalista in corso in tutto il mondo, ma mi sembra un assestamento inevitabile, che non ha raggiunto ancora nemmeno un quarto del suo percorso. Invece di contrastarlo rimpiangendo i bei vecchi tempi (ed è vero, i tempi per esempio in cui i giornali avevano un budget per il giornalismo investigativo serio erano molto belli) dobbiamo capire come continuare a lavorare seriamente in queste nuove condizioni. Come dimostra il caso di Time Out, distribuire una testata gratis non è necessariamente la fine del mondo. Nemmeno la fine di un mondo.
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