25 maggio 2016 13:33

Nel mondo dei videogiochi si definisce “sequenza cinematica” un momento in cui si osserva il dipanarsi della storia senza intervenire, senza interazione e tasti da premere. Queste sequenze cinematiche, nei giochi con un forte elemento narrativo, sono fondamentali per far procedere la trama e impostare una regia, uno stile, un ritmo, dei contenuti indipendenti dal gusto del giocatore.

Spesso i videogiochi hanno sezioni intere molto democratiche, in cui ciascuno decide come preferisce muoversi, progredire, orientare la telecamera. Ma raccontare una storia senza la certezza di alcuni snodi del racconto è un problema, il che impone dei momenti in cui l’autore del gioco riprende in mano la barra e dà una direzione precisa.

Un corpo lievemente estraneo

Per ragioni sia tecniche sia di scrittura è sempre stato complicato evitare lo stacco tra queste parti e quelle giocate, e fare a meno di un certo senso di pausa che le sequenze cinematiche hanno sempre suggerito. E non parlo di uno stacco omogeneo, come quando nei film romantici i due si mettono insieme, comincia una sequenza di montaggio in cui fanno cose insieme sorridendo, camminano lungo la spiaggia, lavano la macchina, c’è una canzone coinvolgente che suona, e lo spettatore si rende conto che questa è la sintesi di una storia d’amore che comincia, diversa ma integrata. Le sequenze cinematiche sono state a lungo, e a volte sono ancora, il momento in cui c’è un’interruzione nel videogioco per dare spazio a un pezzettino di film, un corpo lievemente estraneo.

Una delle caratteristiche chiave di Uncharted 4: fine di un ladro, il nuovo e ultimo capitolo della saga avventurosa di Nathan Drake nata nel 2007 su PlayStation 3, è l’integrazione perfetta, quasi l’ibridazione di momenti giocati e sequenze cinematiche. Chi chiede a un amico: “Com’è il nuovo Uncharted?”, è facile si senta comunque rispondere: “È un film”. Ma questo è un risultato stupefacente e controverso, perché Uncharted 4 è sì apparentemente molto simile a un “film” per come lo percepiamo, ma è molto di più. È la realizzazione di un sogno che l’industria videoludica spesso coltiva e raramente realizza, quello del kolossal per tutti.

Uncharted 4: fine di un ladro.

Lo studio Naughty Dog di Santa Monica (California), creatore della serie, ha modellato il suo cacciatore di tesori Nathan Drake su una tradizione che vede in Indiana Jones l’incarnazione più celebre e stilizzata. Quando George Lucas inventò il personaggio a cui avrebbe dato vita Steven Spielberg, s’ispirò a un’idea di eroe avventuroso esotico legato alle civiltà del passato, che nasce come ibrido di diverse figure. Alcune sono reali – come Heinrich Schliemann, il facoltoso scopritore delle rovine di Troia che usò Omero come fonte primaria, contrariamente al parere degli accademici che pensavano che partire dall’epica classica fosse un’idea romantica votata al fallimento. Poi c’è V. Gordon Childe, storico australiano marxista considerato tra i fondatori dell’archeologia moderna.

Nathan Drake è un bel ragazzone sicuro di sé, conosce la storia e sa molte lingue tra cui il latino

Invece il modello letterario di queste storie e di questi eroi è Allan Quatermain, il protagonista di Le miniere di re Salomone di H. Rider Haggard. Le miniere di re Salomone è sia il primo di una serie di romanzi in cui Quatermain va alla ricerca di tesori antichi e nascosti, sia il caposaldo della letteratura del “mondo perduto” nata a fine ottocento sulla scorta della passione per le civiltà antiche allora molto in voga, mescolata ai romanzi d’appendice. Le stesse storie passeranno al cinema negli anni trenta, resteranno vive nella pulp fiction e raggiungeranno l’apice con il personaggio interpretato da Harrison Ford a partire dal 1981.

A dire il vero esiste ancora oggi una grande diffusione di storie fantastiche che si basano su antichi segreti e conoscenze ancestrali, rovine di civiltà dimenticate coperte di muschio, enigmi da risolvere per accedere a tesori preziosissimi: i programmi televisivi come Voyager e i libri sulle leggende dei maya sono solo le manifestazioni più visibili di questo culto sempre vivo per il mondo perduto. Nei videogiochi ovviamente esiste il fenomeno di Tomb Raider e Lara Croft, di cui Uncharted e Drake sono più o meno i cugini.

Nathan Drake si veste di pelle, di lino, di cotone ruvido. È un bel ragazzone simpatico, atletico e sicuro di sé. Ha una grande conoscenza della storia, sa molte lingue tra cui il latino e conosce l’iconografia epica e religiosa di ogni cultura: davanti a un reperto qualsiasi, un murales, una scultura o un’iscrizione, è difficile che gli manchino gli strumenti per capirci qualcosa. Nel corso dei capitoli di Uncharted ha avuto diversi amori, magari non troppo stabili ma nemmeno esageratamente ballerini per un uomo che gira il mondo e rischia la vita di continuo. Ricorda forse, come scavezzacollo fascinoso, furbo ma dai solidi princìpi, una versione un po’ più naïf di un personaggio tipico di Bruce Willis.

Erede ideale del pirata Francis Drake, Nathan è spesso accompagnato nelle sue missioni da Victor “Sully”Sullivan, figura tra il padre e l’amico di cui fidarsi ciecamente. Poi c’è Elena Fisher, documentarista televisiva sposata alla fine del terzo capitolo della saga. Non manca mai anche una linea di bromedy, un personaggio maschile con cui affrontare una parte dei rischi, condividere le speranze e spartire l’ambizione. In Fine di un ladro il ruolo spetta a Sam, il fratello che si credeva morto e invece…

Uncharted 4: fine di un ladro.

La forza della tenerezza

La caratteristica principale di Uncharted e dei suoi autori della Naughty Dog è la ricerca ossessiva dell’equilibrio. Lo studio di Neil Druckmann e Bruce Straley è diverso da tutti gli altri perché non ci sono producer a supervisionare il comparto creativo: chi fa il gioco e chi tiene d’occhio i soldi e il mercato non sono nello stesso edificio. Nonostante questo, o proprio per questo, i giochi Naughty Dog non costano più del necessario e non restringono il proprio bacino d’utenza negli anni. Anzi.

Lo studio è della Sony dal 2001, quando il suo Crash Bandicoot diventò un classico del mondo PlayStation. Diversi anni dopo uscì Uncharted: Drake’s fortune, primo capitolo della saga di Nate. Da lì in poi la Naughty Dog ha realizzato titoli che rifiutano l’idea di videogioco “puro” che non deve mescolarsi con un’altra forma narrativa. Anzi, proprio l’intento di tenere insieme cose che può essere rischioso mettere insieme è oggetto della tigna di Druckmann e Straley, che nel 2013 hanno impressionato tutti con The last of us, una storia di epidemia globale di morti viventi il cui punto di forza è la tenerezza.

Qualche decennio fa ci si chiedeva se i videogiochi fossero in grado di commuovere: la Naughty Dog ha dimostrato che perfino i videogiochi di zombie ci riescono benissimo, se sai come si fa.

Ci si muove in un territorio che non ha paura di confondersi con il cinema

Uncharted 4: fine di un ladro è un gioco dalla spettacolarità assoluta, spesso superiore a quella di molti bei film d’azione. La trama si sposta da un continente all’altro per seguire la pista del più grande tesoro dei pirati di sempre, e lo fa in una grande varietà di situazioni. L’avventura di Nathan Drake è un’esperienza piena di gesti atletici e sparatorie, viaggi avventurosi ed enigmi con meccanismi di pietra che si attivano rumorosamente dopo secoli: rappresenta già lo stato dell’arte di questo tipo di gioco dal punto di vista della produzione, della tecnica e della narrazione. Ma quello che lo rende unico è proprio il bilanciamento tra le parti che lo compongono, dove gli ingredienti sono nascosti in un insieme mai troppo racconto e mai troppo videogame.

Uncharted non è un gioco a mondo aperto, perché in una storia con questa densità non ha senso lasciare il giocatore troppo libero. Detto questo, in alcuni momenti gli altri capitoli della saga davano la sensazione di muoversi come su binari, con uno svolgimento troppo visibilmente previsto, intervallato da scenari aperti dove avvenivano sparatorie spesso non molto interessanti. Fine di un ladro è il primo capitolo di Uncharted dove questo non succede mai: ci si muove in un territorio che non ha paura di confondersi con il cinema, dove i dialoghi sono infilati nelle scene di azione, cioè in cui si deve giocare, dove le sequenze cinematiche e i momenti di arrampicata più estremi appartengono a un racconto unico.

Uncharted 4: fine di un ladro.

Fuori dei confini tradizionali

Chi cerca un gioco di combattimento in terza persona dove ci siano momenti stealth (quando si sorprendono gli avversari alle spalle), si renderà conto che nel genere Metal gear solid è indubbiamente meglio. Per le fasi di combattimento puro ci sono infiniti altri titoli che offrono più armi, più varietà di avversari, una dinamica più appagante. Ma non è questo il punto. Lo scopo della Sony e della Naughty Dog era quello di trascinare linguaggio e pubblico al di fuori dei confini dei videogiochi, un po’ come ha fatto la Nintendo anni fa tirando verso il mondo dei giocattoli e delle feste in casa con la Wii.

Questa è un’altra direzione, e va verso le serie e il cinema per godere dell’influenza reciproca. Anche per questo Uncharted 4: fine di un ladro si può giocare a difficoltà bassissima, con mira automatica e pochi nemici un po’ più calmi, senza che la qualità dell’esperienza ne risenta. Per altro esiste anche un menu per impostare i controlli semplificati per le persone disabili.

Uncharted 4: fine di un ladro è un kolossal per tutti, ma è anche concepito come il più elegante tra i kolossal per tutti. A partire dai singoli gesti, ogni fase è bilanciata rispetto a quello che succede subito dopo e subito prima, nel capitolo precedente e in quello successivo, lungo le 12 ore di gioco che la storia richiede in media. Il risultato è che non solo niente diventa mai ripetitivo, ma le varie parti hanno perso i contorni definiti di un tempo, ed è tutto mescolato in forma omogenea.

I videogiochi non possono permettersi di perdere il pubblico appassionato per guadagnare quello casual: i numeri dei giocatori assidui sono troppo grandi. Se si vuole allargare bisogna per forza approfondire, arricchire, rilanciare in termini di scrittura, ambientazione, gioco, regia e dettagli. Così Uncharted 4: fine di un ladro, a cominciare dall’immagine della copertina in cui Drake guarda in basso, ancora in piedi ma stanco del peso di questa vita aggrappata a uno sperone di roccia, non punta all’universalità dozzinale del pop scadente: è un gioco realizzato in maniera magistrale, con un’attenzione al dettaglio quasi inarrivabile, e piace a tutti perché è ricco e mai uguale a se stesso.

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