31 gennaio 2017 14:58

La notte del 4 marzo 2015 nel patio del Simonstone hall hotel, tra le colline del parco nazionale delle valli dello Yorkshire, si conclude il rapporto tra la Bbc e il suo presentatore di maggior successo: Jeremy Clarkson. Clarkson, nato non troppo lontano da lì 55 anni prima, litiga con uno dei producer del programma che da anni conduce insieme a James May e Richard Hammond.

Il programma si chiama Top gear ed è forse lo show televisivo più visto di tutti i tempi, trasmesso in versione originale in più di duecento paesi per un bacino che supera i 350 milioni di spettatori. Durante la lavorazione della 23ª stagione, alla fine di una giornata pesante, scoppia un problema di catering: Clarkson ha fame e nell’hotel non c’è la bistecca che lui desidera. Almeno così pare dalle ricostruzioni.

Quello che si sa per certo è che Clarkson, un uomo di quasi due metri che ha fatto della prepotenza fisica e verbale un tratto distintivo della sua personalità pubblica, perde la calma e affronta il produttore Oisin Tymon. Nella lite che segue, Clarkson arriva a dare un pugno a Tymon, oltre a insultarlo con gli epiteti più volgari disponibili in inglese accostati alla parola “irish”, perché Tymon, ovviamente, è irlandese. Tra un insulto e l’altro, Clarkson promette di farlo cacciare, poi esce dal patio, rientra nell’albergo e continua la piazzata davanti a ulteriori testimoni.

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Non è il primo episodio di comportamento inappropriato di cui il conduttore si sia reso protagonista, e questa volta la Bbc interviene. Clarkson viene inizialmente sospeso, mentre Oisin Tymon subisce qualsiasi tipo di insulto da parte dei fan di Top gear che lo identificano come il guastafeste. La notizia finisce su tutti i giornali del Regno Unito e del Commonwealth. Clarkson si scusa diverse volte, ma la misura è colma. La questione si chiuderà di lì a pochi mesi con la fine della carriera di Clarkson alla Bbc e un risarcimento di circa centomila sterline per Oisin Tymon.

Una formula unica
Top gear racconta le automobili con un taglio allo stesso tempo scanzonato e appassionato. Il trio Clarkson, May, Hammond, insieme dal 2002, ha trasformato una trasmissione composta e impersonale come ogni programma di auto, in uno spettacolo che va oltre il genere e il tema. Accanto a prove su strada più viscerali che tecniche, spesso con stroncature di fuoco, il programma è fatto di altri elementi: vip intervistati che poi gareggiano con un’utilitaria su un circuito; un pilota misterioso detto The Stig che prova auto sportive di lusso; servizi ricchi e articolati che si svolgono spesso nei luoghi più lontani ed esotici; un buffo cameratismo da campo estivo tra i conduttori.

Il videogioco Gran turismo offre una simulazione di gioco realistica sul circuito di Laguna Seca? Clarkson prova a fare un buon tempo nel gioco, e poi va fisicamente in California per verificare se riesce a eguagliarsi nella realtà (non riesce). Esce una nuova spider? Viene messa a gareggiare contro un levriero in un cinodromo all’aperto (vince il cane). Notevoli poi sono i momenti itineranti in cui tutti e tre percorrono una strada spettacolare a bordo di qualche mezzo concordato, come una supercar italiana, un’auto usata giapponese, vecchie berline anni ottanta comprate a poche centinaia di sterline.

In sostanza Top gear ha sempre mantenuto un equilibrio aureo tra un aspetto più popolare e certe grandiosità da tv ricca. Spirito goliardico, umorismo britannico, una notevole dose di testosterone vecchia scuola e tanta pioggia da una parte; valori produttivi che nessuno si può permettere, celebrità e supermacchine dall’altra.

Dal momento in cui questo trio prende in mano il programma, la popolarità dello show e dei protagonisti cresce in modo inedito. La cosa è evidente quando Richard Hammond nel 2006, provando un prototipo con motori a reazione, ha un incidente in seguito allo scoppio di una gomma a 450 chilometri all’ora. Hammond, detto “Hamster” per la statura bassa, finisce in coma. Tutti i telegiornali trasmettono l’incidente al rallentatore, mentre la Bbc chiude l’edizione del programma e apre un’inchiesta sulla sicurezza. Il Regno Unito si ferma in un momento di apprensione collettiva che di solito è riservato ad altre figure.

Nel contesto corretto ed equilibrato della tv pubblica britannica, cresce un’isola di irriverenza

Top gear è personale, riconoscibile e coinvolgente, parla fuori dai denti, ama il divertimento e le derapate, detesta la noia e il risparmio energetico. In un contesto corretto ed equilibrato come la tv pubblica britannica, cresce un’isola di irriverenza che produce decine di polemiche per ogni stagione di programma. Intanto il programma diventa sia un’istituzione sia un marchio remunerativo per la Bbc (50 per cento), Clarkson (30 per cento) e il produttore Andy Wilman (20 per cento) che ne detengono i diritti: l’indotto supera i cinquanta milioni di sterline all’anno. Oltre al sito, esiste la rivista cartacea Top gear che esce su licenza in molti paesi (in Italia è edita da Domus, gli stessi di Quattroruote); in diversi paesi sono realizzate edizioni locali della trasmissione; i tre conduttori portano in giro per il mondo uno spettacolo fatto di acrobazie automobilistiche e umorismo.

Il rapporto del marchio con gli Stati Uniti invece è difficile: l’edizione statunitense, lanciata nell’autunno del 2010, soffre dei classici difetti di un mercato televisivo in cui a dettare le regole sono gli investimenti pubblicitari. Le recensioni sono educate, le auto sembrano tutte valide, non c’è sarcasmo né passione. Come ogni altro programma di auto, Top gear Usa è concentrato sulle auto, e non sugli appassionati di auto. Il Top gear originale invece se ne frega della tecnica e delle prestazioni in termini di numeri e ingegneria: è tutto passione e divertimento, con un trio di amici che si prende in giro, organizza scherzi imbecilli, se la spassa mentre prova ed eventualmente sfascia delle auto. “È un viaggio nella mente del maschio, che secondo me è potenzialmente molto divertente, perché – siamo onesti – è un posto dove non succede niente”, dice Wilman a proposito del programma.

Quando la Bbc caccia Clarkson, si fa avanti Amazon. Jeff Bezos deve spingere la sua tv in streaming, il servizio video di Amazon Prime appena esteso a molti paesi del mondo, Italia compresa, e uno show internazionale come Top gear gli fa gola. Clarkson, May, Hammond e Wilman aprono una società di produzione e realizzano per Amazon il programma di automobili più ricco di sempre: The grand tour. È la prima volta che personalità televisive di questa mole escono dalla tv per finire in esclusiva sul web, per quanto la differenza tra un contesto e l’altro si stia assottigliando sempre di più, e nel quotidiano di tanti spettatori sia già solo un tasto nuovo sul telecomando della loro smart tv.

Un’eredità pesante
Consumato il divorzio, la Bbc liquida i soci di minoranza e ingaggia una nuova squadra di conduttori. Parte una nuova stagione del programma che ottiene la metà abbondante degli spettatori dell’epoca Clarkson. A condurre ci sono Chris Evans (non capitan America), Matt Le Blanc (Joey di Friends) e una serie di spigliati collaudatori e giornalisti del settore. Tra loro c’è anche una donna, la pilota tedesca Sabine Schmitz: un elemento impensabile nel vecchio Top gear. Alla fine della stagione il conduttore Chris Evans decide di lasciare il programma per via delle critiche e degli ascolti. Matt Le Blanc viene così promosso, e condurrà l’edizione 2017. Nasce anche Top Gear Italia, condotto da Guido Meda, Joe Bastianich e Davide Valsecchi, prodotto da Sky Uno e trasmesso tra marzo e aprile del 2016.

Jeremy Clarkson, Richard Hammond e James May in studio per The grand tour. (Freuds/Camera Press/Contrasto)

The grand tour è quindi il programma più caro di sempre, o almeno così pare. La scena di apertura della prima stagione, una specie di incrocio tra Mad Max. Fury road e il festival desertico di controcultura Burning Man, si dice sia costata da sola tre milioni di dollari. Per il budget ordinario invece si parla di 5,5 milioni a episodio per 32 episodi divisi in tre stagioni. La prima stagione ha toccato California, Sudafrica, Inghilterra, Olanda, Finlandia, Namibia, Germania, Tennessee e Scozia. L’ultima puntata, ambientata a Dubai, sarà pubblicata su Amazon Prime il 3 febbraio.
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Ovviamente The grand tour non può essere troppo simile a Top gear, che il pubblico statunitense quasi non conosceva: è una versione del programma più simile alla tv “testosterone e fratture”, a cui ci ha abituato il gruppo Discovery, con i suoi esploratori immortali che rischiano la vita tra i ghiacci, a pesca di granchi o nella savana. Manca decisamente l’autoironia che viene così bene ai britannici, ma che non funziona in tutto il mondo. Perché The grand tour è anche il primo grande programma televisivo che affronta un problema strutturale della globalizzazione dei servizi di streaming e dei loro contenuti: chi lavora con l’immaginario e parla alla rete rischia di non averne nulla di condivisibile, ha problemi con il mercato di riferimento, rischia di non far ridere tutti. La soluzione è stata la limatura del carattere del programma, che ora ha per protagonisti tre scavezzacollo di mezza età che affrontano i problemi non con la prestanza fisica ma con spirito e arguzia. Harrison Ford o Nicholas Cage e Jeff Bridges hanno interpretato spesso personaggi del genere: è un ruolo tipico nella narrazione americana per eccellenza, il cinema.

I limiti della popolarità globale
La natura del programma e il carattere politicamente scorretto di Jeremy Clarkson hanno prodotto negli anni molte polemiche per via del maschilismo di fondo della situazione, che nel contesto britannico – dall’Italia sembra normale – fa abbastanza specie. Invece in un contesto statunitense e globale l’impressione di “programma da maschi” risulta molto più sfumata, e anzi il testosterone diventa una moneta di scambio che vale su tutti i mercati. Ma non è solo questo a essere cambiato.

Si è persa gran parte di quella libertà popolare che permetteva ai tre presentatori di mantenere un ruolo quotidiano, di gente incontrata al pub, oltre a quello di celebrità amatissime. Sono proprio quei servizi da pub, concepiti con uno spirito un po’ sbronzo che ricorda da lontano le camminate strambe dei Monty Python. Indimenticabile quello in cui si insegnava a un gruppo di vecchie signore inglesi a fare le sgommate: “Santo cielo, fortuna che ho il pannolone”, diceva una di loro aggrappata al sedile durante la dimostrazione dell’istruttore.

I tre amici più pagati della tv planetaria non frequentano più il pub; sono meno sottili e molto più inebriati dal loro cameratismo

Amazon, a fronte di un investimento che riguarda la promozione della piattaforma più che il programma in sé, ha comunicato un ascolto di “milioni di spettatori”: un dato abbastanza vago da far pensare che le cose non vanno come si vorrebbe. Le prime puntate sono piaciute, ma il nuovo programma non ha evidentemente la forza del vecchio, almeno non per noi europei. È diventato qualcosa di colossale che non si occupa quasi più di mezzi acquistabili e servizi fatti di idee e sregolatezza, ma mette in scena quasi solo momenti rocamboleschi alternati a recensioni di supercar da milionari. Lo slogan del programma è: “Cosa potrà mai andare storto”.

I tre amici più pagati della tv planetaria non frequentano più il pub; sono meno sottili e molto più inebriati dal loro cameratismo. Può essere che il vecchio equilibrio fosse figlio della mediazione della Bbc, sostituita ora da una libertà editoriale assoluta. Ma se in futuro altri programmi in onda sulla rete cercheranno la stessa popolarità globale, speriamo trovino una direzione diversa dalla squadra di The grand tour. Perché l’idea che l’unico tema televisivo planetario sia il testosterone è già avvilente. Ma se la versione contemporanea e “digitale” di questo tema ha bisogno di essere semplificata e banalizzata per funzionare ovunque, cioè resa ancora meno autoironica, abbiamo di che deprimerci.

Un cliente spiritoso del Simonstone Hall hotel ha regalato recentemente all’albergo una placca in ottone che è stata affissa nel patio. Sopra c’è scritto: “Qui giace la carriera alla Bbc di Jeremy Clarkson. In questo punto è avvenuta la lite. 4 marzo 2015. Il resto è leggenda”.

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