20 novembre 2012 16:46

Si annunciano tempi migliori per l‘Italia. Finalmente, a quanto pare, il paese avrà un centro pulito, presentabile, rispettabile a casa e in Europa. Un centro targato Montezemolo-Monti, fatto di persone che non raccontano barzellette, che sanno stare a tavola, che parlano inglese e quindi applicano l’austerity con la dovuta severity invece di fare promesse mirabolanti.

Un centro che in primis – se si dovesse affermare alle prossime elezioni – porrebbe fine a quella grande anomalia italiana rappresentata dal forza-leghismo, da quel connubio di forze populiste che sul versante del centrodestra hanno dominato gli ultimi vent’anni. Un centro – probabilmente piuttosto un centrodestra – con protagonisti che finalmente somiglierebbero ai colleghi europei: a Cameron, Merkel, Sarkozy. Saremmo allora arrivati a quel “paese normale” che Massimo D’Alema teorizzò in un suo libro nell’ormai lontano 1995.

Ma è davvero così? Non è un caso se molti osservatori di fronte al nuovo

rassemblement di Montezemolo tracciano paralleli con la cara vecchia Democrazia cristiana. La presenza di cattolici è forte, forse troppo forte per una forza moderata “normale”. Infatti l’Italia è un caso a sé tra le grandi democrazie europee non solo per la lunga presenza di Berlusconi sulla scena, ma anche perché qui la chiesa cattolica si è sempre mossa su terreno amichevole. Altrove hanno varato le leggi sul testamento biologico, sulle unioni civili, persino sui matrimoni gay con annesso diritto di adozione.

In Italia invece niente di tutto ciò. Per il Vaticano e per la Cei queste questioni sono “non negoziabili”. Per questo motivo le gerarchie ecclesiastiche hanno sempre preferito un peccatore impenitente come Berlusconi a un “cattolico adulto” come Romano Prodi, inviso ai prelati per quel timidissimo tentativo di legiferare sulle unioni civili intrapreso nel 2006/2007. La nuova forza moderata sarà “normale”, in termini europei, solo se conquisterà un margine di autonomia dal Vaticano.

Ma anche per un altro motivo potremmo assistere alla rinascita della Dc. La Dc è stata per decenni il partito di governo ineluttabile, a cui non esisteva nessuna alternativa. Durante la guerra fredda era semplicemente impensabile un governo di uno schieramento opposto (che in Italia sarebbe stato dominato dal Pci). Ora, a 23 anni dal crollo del muro e a 21 dallo scioglimento del Pci, ci troviamo davanti alla curiosa riedizione del discorso sull’ineluttabilità, sulla mancanza di qualsiasi alternativa al nuovo centro fondato intorno a Monti. Nicola Rossi, uno dei sostenitori del progetto di Montezemolo, lo spiega chiaro e tondo: Pierluigi Bersani sarebbe un premier “domestico” (intendendo forse uno che piace a casa sua), ma non un premier “europeo” come Mario Monti (intendendo uno che piace in Europa).

Viene in mente uno slogan che gli attivisti della sinistra extraparlamentare tedesca dipingevano sui muri nei primi anni novanta: “Se le elezioni potessero cambiare qualcosa sarebbero vietate”. Rossi (e con lui gli altri fautori del nuovo centro) argomentano che gli italiani in fin dei conti non hanno scelta: non devono cambiare né qualcosa né qualcuno. La scia da seguire è l’agenda Monti, l’esecutore non può essere che Monti.

Un Monti che finora ha governato con il voto degli altri. Ora il progetto di Montezemolo si presenta come tentativo di fornire quella legittimazione politica diretta che manca al governo tecnico. Ma in realtà quel nuovo movimento non si candida affatto a governare il paese grazie a un voto maggioritario degli italiani. Due sono gli scenari realistici: o l’alleanza con un Pd vincitore delle elezioni o addirittura un altro governo di larghe intese, dal Pd a quel che rimane del Pdl, passando per il centro.

Ma la pretesa è una sola, qualunque cosa dicano gli elettori: il baricentro del governo uscito dalle urne deve comunque essere il centro montiano, e l’agenda quella seguita finora. Come ai tempi della guerra fredda anche ora, in nome della crisi dell’euro, non ci sarebbero altri spazi di manovra. Ma siamo sicuri che questa sarebbe la “normalità europea” tanto agognata?

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