03 giugno 2013 16:34

“Ti vogliono al telefono!”. “Chi è?”. “È Rodotà, vuole parlare con te, sbrigati!”.

In tanti ultimamente si erano sognati questa scena. I primi erano stati i politici del Partito democratico che, nei giorni dell’elezione del presidente della repubblica, stavano incollati davanti ai telefoni. Non per alzare la cornetta, non per chiamare Stefano Rodotà, ma per essere chiamati, per sentirsi chiedere: “Amici, che devo fare? Ritiro la candidatura? Sarei anche pronto al sacrificio …”.

Poi uno di loro alzò la cornetta, ma chiamò non lui bensì sua figlia, per consigliarle di dire al vecchio di smetterla con la candidatura inopportuna. Infine dopo, a frittata fatta, erano molti i democratici a spiegare che no, non potevano assolutamente votare Rodotà, visto che “non ci ha neanche chiamato”. E giù ironie, neanche troppo fuori luogo, di Beppe Grillo e dei suoi sui cafoni del Pd che non erano riusciti nemmeno a cercare per primi l’esimio giurista per chiarire almeno i termini della contesa presidenziale tra lui e Prodi.

Ma forse Grillo avrebbe fatto meglio a stare zitto. Appena un mese dopo è lui a lamentarsi del fatto che Rodotà “non ha alzato il telefono”. Uno sgarbo incredibile, no? Invece

quell‘“ottuagenario”, “sbrinato dal mausoleo”, si è permesso di rilasciare un’intervista al Corriere della Sera senza chiedere permesso a Grillo o Casaleggio. “Me lo poteva dire al telefono”, piange Grillo. Ma perché avrebbe dovuto?

Prima di tutto Grillo non ha sbrinato un bel niente visto che Rodotà negli ultimi anni era più che attivo su vari fronti. Beppe condivide però la stessa logica applicata da tanti rappresentanti del Pd nei confronti di Rodotà: sotto sotto tutti fanno capire che Rodotà avrebbe un debito di gratitudine e “lealtà” nei loro confronti. E che si dovrebbe comportare come se fosse organico, per gli uni al Movimento 5 stelle, per gli altri al Pd. Quindi devi alzare il telefono, caro Rodotà, e farti dare - o negare - il gentile permesso di pensare con la tua testa.

Invece, se non ti comporti da organico, sono leciti insulti e sberleffi al vecchiaccio. “Hai delegittimato la rete, la rete ti delegittima”, decreta beffardo Claudio Messora, specialista web e comunicazione dei cinque stelle. Ma non era “la rete” a rispondere a Rodotà: era solo Grillo a permettersi qualche cafonaggine. Poi ci sono quelli magnanimi, quelli che assicurano che la stima per Rodotà rimane, però se la prossima volta per favore potesse alzare il telefono sarebbe meglio.

E perché mai dovrebbe telefonare? Perché l’M5s reclama di essere esente da una valutazione critica, fatta in pubblico e non sussurrata alle orecchie di Beppe? Perché Grillo tratta Rodotà come “cosa nostra”, come una persona che grazie allo “sbrinamento” delle quirinarie avrebbe perso il diritto di dire la sua in piena autonomia come se fosse un deputato – scusate, un “cittadino portavoce” – qualsiasi che deve rendere conto delle sue idee a Grillo e Casaleggio? Forse per la stessa ragione che ha fatto dire a Roberta Lombardi, nel famoso confronto con Bersani: “Noi non parliamo con le parti sociali, noi siamo le parti sociali”.

Infatti l’autosufficienza, la poca voglia di dialogo con voci esterne, si accompagna con l’insofferenza per chiunque sia in disaccordo, all’interno come all’esterno del movimento. Si è detto tanto, e con ragione, dell’autoreferenzialità dei vecchi partiti, incapaci di intercettare gli umori della società civile, i pensieri formulati fuori dai fortini partitici. Di partiti spesso arroganti, di partiti pronti a riservare un trattamento umiliante anche ai loro padri nobili (come quello inferto a Prodi dal Pd). Ora l’M5s si accinge, fin troppo presto, a dimostrare che non è da meno. Prima si insulta Gabanelli, poi Rodotà, a quando Gino Strada?

In tutto questo colpisce il fatto che l’intervista di Rodotà con il Corriere era più che gentile con i cinque stelle. Si è giusto permesso di osservare che la rete non basta più e che non bastano più le indicazioni di Grillo e Casaleggio. Un chiaro caso di lesa maestà. O di una lieve paura di Grillo. Paura che Rodotà possa trovare ascolto all’interno dell’M5s?

Un vantaggio ce l’ha. Non sbraita mai, non ha bisogno di insultare nessuno, non twitta scemenze, non fa il blogger esaltato. Non risponde per le rime, neanche dopo gli attacchi. Certo, ha quel terribile difetto di non alzare il telefono: non vuole fare il consigliere di nessun principe. Preferisce parlare in pubblico, sempre pacato, da vero cittadino, non produce slogan roboanti ma ragionamenti, dice cose sensate e argomentate, con grande coerenza e costanza. Un caso più unico che raro nello scenario italiano, tra leader di partiti vecchi e di movimenti nuovi.  

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