22 gennaio 2016 15:37

I bugiardini non sono una lettura piacevolissima. Avvertono di una lunga sfilza di rischi – “in rarissimi casi sono stati riportati decessi dopo l’assunzione del farmaco” – ed effetti collaterali. Dunque il paziente medio di solito rinuncia allo studio dettagliato delle avvertenze. Ma, se le studia, spesso e volentieri rinuncia all’assunzione del farmaco.

Sono strategie di sopravvivenza che possono funzionare nella vita quotidiana dei privati, ma quando le applica uno stato diventano deleterie. Il governo, il parlamento, i partiti italiani in diversi casi hanno scelto l’approccio dello struzzo, rinunciando a una lettura attenta dei rischi cui si espongono con le loro decisioni.

Un caso clamoroso è l’unione bancaria europea con le sue norme annesse sul salvataggio delle banche in crisi. L’Italia intera si è svegliata di colpo solo alla fine di novembre 2015, quando il governo ha deciso lo scioglimento di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti. C’è stato grande stupore alla scoperta che quella “risoluzione” degli istituti insolventi comportava gravi danni per azionisti e obbligazionisti. E grande sorpresa di fronte al fatto che dal 1 gennaio 2016 sarebbe entrata in vigore, in tutta la zona euro, la norma vincolante che prescrive il bail in: niente più aiuti di stato alle banche decotte, ma risanamento a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti (se tengono più di centomila euro in banca).

Molti in Italia hanno voluto leggere in questa impostazione un altro sgambetto della Germania. Infatti la storia dell’unione bancaria ricorda molto da vicino la storia dell’euro stesso. Quella moneta unica, va ricordato, era un progetto che non piaceva affatto alla Germania, paese ben felice del suo marco solidissimo.

La storia dell’euro si ripete

Mai poi cedette, imponendo però di fissare le condizioni a cui dovettero sottomettersi i futuri membri del club. Già allora pochissimi in Italia studiarono attentamente gli eventuali effetti collaterali di una medicina che in un primo tempo garantì al Belpaese tassi di interessi molto più bassi che in passato, ma che al contempo chiuse per sempre la possibilità di svalutazioni competitive. E non ci si accorse neanche che l’euro non era un progetto solidale, che ognuno continuava a giocare per sé – e continuava anche a tenersi gli eventuali rischi per sé.

Quelle contraddizioni – moneta comune, ma rischi separati – esplosero con la crisi del 2008/2009. Dopo gli affannosi “salvataggi”, di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro, alcuni paesi si fecero promotori di proposte tese a creare più comunità nella gestione dei rischi insiti nella zona euro. Una di quelle proposte, avallata anche dall’Italia, era l’unione bancaria: un ombrello comune per tutte le banche europee.

E la storia dell’euro si ripete. La Germania non vuole saperne. Teme di doversi accollare i problemi delle banche decotte “degli altri”, di dover partecipare, con risorse proprie, a salvataggi oltre frontiera. Ma poi Berlino cede, almeno in apparenza. Perché di nuovo è soprattutto la Germania a fissare le condizioni alle quali potrebbe stare al gioco.

La prima di quelle condizioni è infatti il bail in (praticato del resto, su forti pressioni tedesche, già nel caso delle banche cipriote). L’argomento è plausibile: prima dei contribuenti siano gli investitori a rispondere dei rischi insiti ai loro investimenti. Ed è plausibilissimo in un’ottica degli interessi nazionali tedeschi, orientati a minimizzare i rischi derivanti dalle politiche altrui.

Chi invece di nuovo non si è curato dei dettagli dei patti sottoscritti in Europa è l’Italia. Ora il paese scopre che l’unione bancaria congegnata così può essere fortemente lesiva dell’interesse nazionale del paese: i rischi per chi ha messo i suoi soldi nelle banche italiane sono di colpo fortemente aumentati, con la conseguenza che il sistema bancario italiano si trova esposto a una forte sfiducia dei mercati.

Quando le decisioni furono prese, gli italiani c’erano, al livello di governo e di parlamenti (sia quello europeo sia quello italiano)

Tutto questo poteva essere chiaro già molto tempo fa. Ma ce ne si è resi conto solo ora, e si cerca di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Quello che colpisce in questi giorni è il difetto di memoria collettiva dei politici italiani. Renzi alza la voce con l’Europa, Salvini tuona contro la Germania, tutti sono d’accordo che “così non va”.

Giustissimo. Ma quando le decisioni furono prese, gli italiani c’erano, al livello di governo e di parlamenti (sia quello europeo sia quello italiano). Votarono in massa per l’unione bancaria, bail in compreso. Nel 2013/2014 quasi tutti i partiti italiani, dal Pd a Forza Italia a Fratelli d’Italia votarono sì al parlamento europeo, solo la Lega si astenne (ma non votò contro). Con la stessa coralità il senato fece passare il bail in, con la sola tiepidissima astensione (altro che barricate!) di Lega Nord e Movimento 5 stelle.

Rimproveri stizziti

Votare in maniera distratta, salvo svegliarsi dopo: era questo il modo di agire della classe politica italiana di fronte a decisioni vitali per il paese. Svegliarsi dopo: era questa anche la maniera in cui l’Italia ha affrontato la crisi delle sue banche. Di nuovo il presunto colpevole è la Germania: “Voi avete salvato le vostre banche con fior di soldi pubblici, ora lo impedite a noi”, è il rimprovero stizzito. Verissimo: diversi paesi europei hanno mobilitato centinaia di miliardi di euro, la sola Germania ha messo a disposizione del suo settore bancario più di 200 miliardi.

L’Italia invece in tutti quegli anni, dal 2008 in poi, si beava del fatto di avere “un settore solido”, di aver dovuto mettere a disposizione dei suoi istituti solo cinque miliardi. Intanto però la situazione incancreniva, i crediti “deteriorati” (vulgo: inesigibili) aumentavano a vista d’occhio fino a raggiungere la cifra stratosferica di 201 miliardi. Adesso il risanamento va portato avanti in condizioni molto più sfavorevoli rispetto al 2010, appunto grazie alle nuove norme sul bail in.

Beninteso l’Italia ha il sacrosanto diritto di far valere, in questa situazione, i suoi interessi e di ingaggiare conflitti anche forti sia con Bruxelles sia con Berlino. Altro è però il vittimismo di maniera che se la prende con le “imposizioni altrui” per far dimenticare le proprie distrazioni.

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