05 novembre 2020 13:39

Sono le otto di sera di lunedì 2 novembre quando nel centro di Vienna risuona il primo sparo. Il paese è sull’orlo di un secondo lockdown. Per essere una giornata autunnale fa stranamente caldo, quasi venti gradi. Il bel tempo e la prospettiva di una nuova chiusura hanno spinto molte persone ad affollare i caffè all’aperto del centro. Per l’ultima volta i giovani si incontrano nel quartiere alla moda che confina con quello ebraico, dove si trova la più grande sinagoga di Vienna. Un ultimo bicchiere prima che i bar e i ristoranti chiudano nuovamente i battenti.

Dopo il primo sparo ne arrivano altri. Kujtim Fejzulai cammina armato con un machete e un fucile d’assalto. Ha anche una finta cintura esplosiva. Tra nove minuti il ventenne giacerà al suolo, senza vita, ucciso da un’unità speciale della polizia. In questi nove minuti quattro persone perderanno la vita. Venti saranno ferite, di loro tredici saranno ricoverate con ferite da arma da fuoco. Tre saranno trasportate in terapia intensiva, in gravi condizioni.

In quest’ultima serata “normale” prima del confinamento l’attacco ha preso Vienna completamente alla sprovvista. La gente corre per le strade in preda al panico, la polizia marcia in assetto da guerra e le ambulanze illuminano il centro con le loro sirene blu.

Doppia vita
Non è la prima volta che Vienna vive il terrore. Nel 1981 un gruppo di terroristi palestinesi assalì una sinagoga nel centro della città, uccidendo nello stesso punto in cui Kujtim ha trovato le sue vittime, mentre negli anni novanta una serie di attentati legati all’estrema destra terrorizzò la città. Ma resta il fatto che l’Austria era stata sostanzialmente risparmiata dal terrorismo islamico che ha sconvolto Parigi, Londra o Berlino, e questo nonostante negli ultimi anni 331 “combattenti stranieri” siano partiti dal paese per raggiungere la Siria e unirsi al gruppo terrorista Stato islamico.

Settantadue di questi combattenti sono tornati in Austria. Anche Kujtim Fejzulai nel settembre del 2018 aveva cercato di entrare in Siria, ma era stato fermato al confine con la Turchia e poi riportato in Austria. Nell’aprile del 2019 era stato condannato a 22 mesi di prigione per adesione a un’organizzazione terrorista. Il suo avvocato Nikolaus Rast ha dichiarato che all’epoca Kujtim gli era sembrato “un ragazzo immaturo”.

La vita di Kujtim Fejzulai ricalca quella di tanti aspiranti jihadisti. Nato a Vienna, da adolescente era un calciatore promettente. I suoi genitori provengono dalla Macedonia del Nord e sono musulmani, ma di orientamento liberale. All’età di sedici anni Kujtim aveva abbandonato la scuola, aveva cominciato a pregare e si era radicalizzato. Il suo avvocato sostiene che era semplicemente un ragazzo “che cercava un posto nella società”. Alla fine quel posto l’ha trovato in una moschea tra le più radicali a Vienna, dove predicava uno dei più noti islamisti del paese. In seguito il predicatore è andato a combattere in Siria, dove è stato ucciso da un drone.

L’opposizione ha chiesto e ottenuto una commissione d’inchiesta sul terrorismo per chiarire come abbia agito l’attentatore, noto alla polizia

Kujtim era stato rilasciato in libertà vigilata dopo pochi mesi di prigione. Data la sua giovane età, era stato scarcerato nel dicembre 2019. Un giudice gli aveva imposto di partecipare a un programma di deradicalizzazione e gli aveva assegnato un funzionario di sorveglianza. Pochi giorni prima dell’omicidio Kujtim aveva partecipato a un incontro in cui aveva condannato l’attentato islamista contro un insegnante a Parigi. O almeno questo è ciò che il suo supervisore ha riferito dopo il suo gesto. Sembrava che il ragazzo si fosse reintegrato con successo nella società. In realtà Kujtim viveva una doppia vita. Il suo nome era ben noto alle forze dell’ordine, ma nessuno lo ha controllato con attenzione.

Subito dopo l’attentato la polizia slovacca ha rivelato di aver messo in guardia la polizia austriaca già la scorsa estate, quando Kujtim aveva tentato di acquistare munizioni nel paese. Allo stato attuale delle indagini, sembra che Kujtim abbia agito da solo. Ma a quanto pare era in contatto con altri islamisti in Austria e in Svizzera, dove sono state effettuate diverse perquisizioni. Più di dieci persone vicine all’attentatore sono state arrestate.

Le sera dell’attentato la polizia ha reagito prontamente, evitando con ogni probabilità un ulteriore spargimento di sangue. Il fatto che Kujtim abbia potuto uccidere e pianificare l’attentato nonostante fosse accusato di terrorismo islamico e avesse pubblicato su Instagram alcune foto che lo ritraevano armato prima di commettere il suo crimine, andrà assolutamente chiarito dalle indagini. L’opposizione ha chiesto e ottenuto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul terrorismo.

Intanto a Vienna è tornata un po’ di pace. Dopo una giornata traumatica in cui le scuole sono rimaste chiuse e il ministero dell’interno ha chiesto alla popolazione di restare in casa, la vita è tornata lentamente al ritmo ordinario. La sera dell’attentato, mentre il terrorista sparava a caso per la strada, un uomo da una finestra ha urlato qualcosa che riassume alla perfezione lo stato d’animo della città: “Oaschloch!”, che in dialetto viennese significa “stronzo”. La capitale austriaca, dove la metà degli abitanti ha una storia d’immigrazione, non farà il gioco dei terroristi. Non sarà divisa da un crimine così odioso. Rimarrà quella che è: una metropoli aperta e variegata.

Molti viennesi, sui social network, hanno sostituito il nome dell’assassino con la parola “Oaschloch”. Perché chiunque porti il terrore e la paura in questa meravigliosa città merita solo un aggettivo: stronzo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it