23 marzo 2006 00:00

L’idea che l’Europa e l’Asia possano diventare più indipendenti preoccupa i politici statunitensi fin dalla seconda guerra mondiale. Oggi l’evoluzione del nuovo “ordine tripolare” – Europa, Nordamerica e Asia – ha fatto aumentare le loro preoccupazioni. Anche l’America Latina diventa ogni giorno più autonoma. Sta rafforzando i suoi legami con l’Asia, mentre la superpotenza oggi dominante, il terzo incomodo, si consuma in disastrose avventure mediorientali.

In Asia e in America Latina l’integrazione regionale è un problema sempre più importante e, dal punto di vista di Washington, fa presagire un mondo ribelle e fuori controllo. E le risorse energetiche, naturalmente, rimangono ovunque l’oggetto del contendere.

Al contrario dell’Europa, la Cina non si lascia intimidire da Washington. Per questo i politici statunitensi temono Pechino, che li pone davanti a un serio dilemma: qualsiasi scontro con i cinesi è reso impossibile dal fatto che le grandi aziende americane contano sul gigantesco mercato del paese asiatico per le loro esportazioni.

A gennaio il re dell’Arabia Saudita Abdullah è andato in visita a Pechino e, come scrive il Wall Street Journal, si prevede che quest’incontro porterà a un protocollo d’intesa sino-saudita per “incoraggiare la cooperazione tra i due paesi nel settore del petrolio, del gas naturale e degli investimenti”. La Cina acquista già buona parte del petrolio iraniano, e sta fornendo a Teheran quelle armi che entrambi i paesi considerano un deterrente contro i progetti statunitensi.

Anche l’India oggi può scegliere: può diventare un satellite degli Stati Uniti o invece preferire l’unione con il più indipendente blocco asiatico che sta nascendo, e stringere ulteriormente i rapporti con i paesi produttori di petrolio del Medio Oriente.

Il vicedirettore del quotidiano The Hindu, Siddarth Varadarjan, osserva che “se il ventunesimo secolo dev’essere il ‘secolo asiatico’, la passività dell’Asia nel settore energetico deve finire”. La chiave di tutto è la cooperazione tra i due giganti del continente. Un accordo firmato lo scorso gennaio a Pechino “ha aperto la strada alla collaborazione tra India e Cina non solo nel campo della tecnologia ma anche in quello della ricerca e della produzione di idrocarburi. Un’alleanza che potrebbe alterare le equazioni fondamentali del settore energetico mondiale”, sottolinea Varadarjan.

Un ulteriore cambiamento possibile è il passaggio all’uso dell’euro nel mercato petrolifero asiatico: l’impatto che avrebbe sul sistema finanziario internazionale e sugli equilibri di potere globali potrebbe essere molto significativo. Non sorprende quindi la recente visita del presidente Bush in India per cercare di far tornare quel paese all’ovile, offrendogli cooperazione nel settore nucleare e altri incentivi.

Intanto, in America Latina, dal Venezuela all’Argentina, si moltiplicano i governi di centrosinistra. Le popolazioni indigene sono diventate molto più attive e influenti, soprattutto in Bolivia e in Ecuador, dove chiedono un controllo dello stato sul petrolio e sul gas naturale oppure, in alcuni casi, si oppongono del tutto alla loro produzione. A quanto sembra molti indigeni non vedono perché la loro vita, le loro società e le loro culture dovrebbero essere modificate o distrutte affinché i newyorchesi possano starsene seduti nei loro fuoristrada in mezzo a un ingorgo.

Il Venezuela, il principale esportatore di petrolio dell’emisfero, è probabilmente il paese latinoamericano che ha stabilito rapporti più stretti con la Cina, e sta progettando di vendere sempre più petrolio alla potenza asiatica per ridurre la propria dipendenza da un governo statunitense che gli è ostile. Il paese è ormai entrato anche a far parte del Mercosur, l’unione doganale sudamericana, una decisione che è stata definita dal presidente argentino Néstor Kirchner “una pietra miliare per lo sviluppo di questo blocco commerciale”, ed è stata accolta come “un nuovo capitolo della nostra integrazione” dal presidente brasiliano Lula.

Oltre a fornire carburante all’Argentina, Caracas ha acquistato circa un terzo del debito accumulato dal paese nel 2005, nel quadro del tentativo della regione di sottrarsi al controllo del Fondo monetario internazionale dopo vent’anni di disastroso rispetto delle regole imposte dalle istituzioni finanziarie dominate dagli Stati Uniti.

L’integrazione tra i paesi del cono meridionale ha fatto un ulteriore passo avanti in dicembre con l’elezione di Evo Morales, il primo presidente indigeno della Bolivia. Morales ha preso subito delle iniziative per stringere una serie di accordi energetici con il Venezuela.

Sempre più spesso nascono movimenti popolari che hanno origine nel sud del mondo, ma che attirano un numero crescente di cittadini dei paesi industrializzati. Questi movimenti chiedono una maggiore attenzione alle necessità della stragrande maggioranza delle popolazioni.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it