09 giugno 2010 00:00

Il violento attacco di Israele alla Freedom flotilla che trasportava aiuti umanitari a Gaza ha sconvolto il mondo. Assalire una nave in acque internazionali e ucciderne i passeggeri è ovviamente un crimine grave. Ma non è niente di nuovo. Sono decenni che Israele attacca le navi che vanno da Cipro al Libano e ne uccide o rapisce i passeggeri, a volte tenendoli in ostaggio nelle sue prigioni. Israele pensa di poter commettere impunemente questi crimini perché gli Stati Uniti li tollerano e, di solito, lo fa anche l’Europa.

Come ha scritto giustamente il Guardian il 1 giugno, “Se un gruppo di pirati somali avesse bombardato sei navi in alto mare uccidendo nove dei loro passeggeri e ferendone molti altri, oggi una task force della Nato sarebbe già diretta verso la costa somala”. In base al suo trattato, infatti, l’Alleanza atlantica sarebbe dovuta intervenire per aiutare uno stato membro, la Turchia, attaccato in acque internazionali.

Il pretesto usato da Israele è stato che la Freedom flotilla trasportava materiali con cui Hamas avrebbe potuto costruire dei bunker da cui lanciare razzi contro lo stato ebraico. Ma non è una scusa credibile. Israele potrebbe facilmente mettere fine a quei lanci con mezzi pacifici.

Rinfreschiamoci la memoria. Da quando ha vinto le elezioni del 2006 nella Striscia di Gaza, Hamas è stato dichiarato una pericolosa organizzazione terroristica. E Stati Uniti e Israele hanno deciso di punire i palestinesi per aver votato nel modo sbagliato. Il risultato è stato l’assedio di Gaza, e il blocco navale.

L’assedio è stato intensificato nel giugno 2007, alla fine della guerra civile contro Al Fatah, quando Hamas ha assunto il controllo totale della Striscia. In realtà sono stati Washington e Tel Aviv a incoraggiare l’uomo forte di Al Fatah a Gaza, Mohammed Dahlan, a tentare di rovesciare Hamas, ottenendo invece l’effetto contrario di rafforzare l’organizzazione islamica. Per mesi Hamas ha criminalmente lanciato razzi contro le città israeliane più vicine, fino al giugno del 2008, quando hanno firmato una tregua con Israele.

Il governo israeliano ammette che fino a quando non ha violato il cessate il fuoco il 4 novembre 2008, invadendo Gaza e uccidendo alcuni militanti di Hamas, l’organizzazione palestinese non aveva sparato un solo razzo. Hamas a quel punto ha proposto di rinnovare la tregua. Il governo israeliano ha analizzato l’offerta e l’ha respinta, preferendo invadere Gaza il 27 dicembre.

Come altri stati, Israele ha il diritto di difendersi. Ma aveva il dritto di usare la forza contro Gaza per difendersi? Su questo punto il diritto internazionale e la Carta dell’Onu non presentano ambiguità: un paese ha questo diritto solo dopo aver tentato tutti i mezzi pacifici a sua disposizione. Israele non ci ha neanche provato. Quindi l’invasione è stata un puro e semplice atto di aggressione, come l’attacco alla Freedom flotilla.

L’assedio è un sistema brutale, che serve a mantenere in vita gli animali in gabbia quel tanto che basta per evitare le proteste della comunità internazionale. È l’ultima fase del progetto che Israele ha sempre avuto in mente: separare Gaza dalla Cisgiordania.

La giornalista israeliana Amira Hass ci ricorda la storia di questo processo di separazione: “Le limitazioni agli spostamenti dei palestinesi introdotte nel gennaio del 1991 hanno invertito un processo cominciato nel giugno del 1967. Allora, e per la prima volta dal 1948, una buona percentuale di palestinesi era tornata a vivere nel territorio di un unico paese. Certo, era un paese occupato, ma almeno non era diviso”. E conclude: “La totale separazione di Gaza dalla Cisgiordania è stata una delle più grandi conquiste della politica israeliana, il cui obiettivo principale è impedire che venga adottata una soluzione basata sulle risoluzioni dell’Onu e prevalga invece un accordo basato sulla superiorità militare di Israele”.

La Freedom flotilla stava sfidando questa politica e quindi doveva essere punita. Un progetto per mettere fine al conflitto arabo-israeliano esiste dal 1976, quando gli stati arabi della regione presentarono al Consiglio di sicurezza dell’Onu una proposta che prevedeva una soluzione a due stati sulla base dei confini internazionali, con tutte le garanzie di sicurezza contenute nella risoluzione 242, adottata dopo la guerra del giugno 1967.

I princìpi essenziali di questa soluzione sono accettati in pratica dal mondo intero. Ma gli Stati Uniti e Israele continuano a respingerla da trent’anni, con un’unica eccezione. Durante il suo ultimo mese di presidenza, nel gennaio 2001, Bill Clinton avviò a Taba, in Egitto, una serie di colloqui tra israeliani e palestinesi. Erano quasi arrivati a un accordo, poi Israele decise di interromperli.

Oggi assistiamo ancora alle brutali conseguenze di quel fallito tentativo di pace. Il diritto internazionale può essere imposto agli stati più potenti solo dai loro cittadini. È un compito difficile, soprattutto quando qualcuno sostiene che i crimini commessi sono legittimi. Oppure appoggia tacitamente un progetto criminale, con un atteggiamento ancora più insidioso perché rende quei crimini invisibili.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 850, 11 giugno 2010*

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