10 febbraio 2015 12:02

Quando nel Regno Unito o negli Stati Uniti esce un libro sulle pratiche spirituali orientali – meditazione, yoga, reiki – la regola non scritta è che nel titolo e in copertina ci devono essere un fiore di loto, qualche sassolino, un cielo limpido, un placido laghetto o una statua sorridente. Volendo si possono anche combinare questi elementi a caso, per esempio Un sassolino sorridente in un cielo limpido: l’arte della meditazione. Nelle migliori librerie.

Questi cliché riflettono la convinzione diffusa che la cultura del sudest asiatico sia basata sulla lentezza, sull’introspezione e sulla ricerca della pace interiore, in altre parole, su quello che facciamo quando vogliamo sfuggire ai ritmi frenetici della vita moderna (ovviamente, occidentale). Ma secondo l’esperto di psicologia giapponese Gregg Krech le cose non stanno proprio così. Analizzando più a fondo le filosofie orientali, scrive nel suo nuovo libro The art of taking action, ci rendiamo conto che sono piene di consigli pratici. È vero, sulla copertina del libro troviamo le solite canne di bambù in riva a uno stagno, ma il suo contenuto è tutt’altro che placido.

Secondo Krech il problema degli inviti all’azione del tipo “coraggio, datti da fare” è che sono troppo legati all’importanza di provare entusiasmo per quello che facciamo e allo sforzo di evitare il disagio associato agli aspetti noiosi, difficili e meno affascinanti di un lavoro: in poche parole, sono troppo legati alle emozioni. Se vediamo la vita in questo modo, per evitare di rimandare all’infinito c’è un unico sistema: trasformare la riluttanza in entusiasmo.

Ma cercare di controllare le proprie emozioni “è come cercare di far risalire le acque del fiume Kamo verso la sorgente”, diceva lo psicologo giapponese Shoma Morita, le cui teorie sono al centro del libro di Krech: è impossibile. L’alternativa che suggerisce Morita, l’arugamama, consiste nel rinunciare a combattere le sensazioni spiacevoli, accettarle e fare comunque le cose, il che è molto più pratico che essere schiavi delle emozioni del momento. Krech cita anche il maestro di meditazione Eknath Easwaran: “L’affermazione che sentiamo tanto spesso – ‘Lo farò perché mi piace’ – è indice di mancanza di libertà”.

Pensare all’entusiasmo in questi termini è illuminante: non è più qualcosa che nella vita tutti dovremmo cercare, ma come un handicap leggermente imbarazzante che rischia di distrarci da quello che conta pur guidandoci in quella direzione. “L’unico modo per risolvere veramente il problema dell’entusiasmo”, scrive Krech, “è smettere di esserne dipendenti”: è proprio quando si smorza l’entusiasmo che scopriamo di che pasta siamo fatti.

Questo non vuol dire che dobbiamo accettare con rassegnazione un rapporto o un lavoro che odiamo. Significa che per decidere cosa fare non dobbiamo basarci sull’entusiasmo o sul desiderio di evitare il disagio. La vita (per parafrasare il Budda) è insoddisfacente di per sé. E rendersene conto è liberatorio: non dovremo più chiederci se la strada che stiamo seguendo ci porterà a vivere grandi emozioni e nessuna frustrazione, perché siamo già certi che non sarà così.

In una vecchia parabola zen citata da Krech, un monaco chiede al suo maestro cosa deve fare quando ha troppo caldo. “Quando fa caldo, lascia che il caldo ti uccida”. Questo consiglio non va preso alla lettera. Ma perché non sprecare meno tempo a lottare contro il disagio? Questo sì che è un ottimo consiglio. Essere capaci di fare quello che c’è da fare, che ci piaccia o meno, è quasi come disporre di un superpotere.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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