01 settembre 2015 11:13

Qualche tempo fa ho deciso di affrontare un principio d’insonnia dormendo ancora di meno. Se vi sembra illogico, posso solo rispondervi che non è più illogico di quello che fanno di solito le persone che soffrono d’insonnia: tutte le sere restano stese sul letto per ore, rimuginando su orribili verità esistenziali (tipo il fatto che il numero di podcast di This american life non è infinito. Solo gli insonni se ne rendono conto), e più cercano di dormire più si svegliano. Invece, la “terapia della veglia” (Sleep restriction therapy o Srt) sta diventando sempre più popolare, e sembra che funzioni quanto i sonniferi.

Quando dormiamo male, istintivamente tendiamo a passare più tempo a letto per recuperare. Ma a quanto pare non è un rimedio efficace. Ovviamente, prima di privarsi deliberatamente del sonno sarebbe meglio chiedere consiglio a un esperto, ma le regole di base dell’Srt sono semplici.

Prima di tutto, dovete stabilire un’ora fissa per svegliarvi – diciamo le sette di mattina – e rispettarla a qualunque costo. In secondo luogo, per una settimana o due, dovete calcolare in media quante ore dormite a notte. Supponiamo che siano cinque. Adesso viene il difficile: dovete evitare di andare a letto e di crollare fino a cinque ore prima dell’ora stabilita, cioè fino alle due. Se riuscirete a dormire solo cinque ore, dovrete farvele bastare. Non scendete sotto le quattro ore e mezzo. E quando le cose miglioreranno, gradualmente potrete stare a letto di più.

A giudicare dalla mia esperienza, se vi sforzerete di non andare a letto durante la giornata vi sentirete esausti, sarete assonnati e irritabili. Ma la notte comincerete a dormire piuttosto profondamente.

Una cosa che a dosi massicce ci uccide, come la privazione del sonno, presa a piccole dosi può farci bene

Questo metodo in parte funziona perché spezza l’associazione che il nostro subconscio fa tra lo stare a letto e il rimanere svegli. Ma la Srt sfrutta anche il principio della “ormesi”, cioè, come sostiene il blogger Todd Becker, l’idea che “per combattere lo stress, dovremmo sottoporci a una quantità ragionevole di quello stesso stress per allenare il corpo e la mente a sopportarlo”. Una cosa che a dosi massicce ci uccide, come la privazione del sonno, presa a piccole dosi può farci bene.

Per rafforzare la muscolatura dobbiamo allenarci con pesi difficili da sollevare. Per immunizzare i bambini, dobbiamo esporli a certi germi, piuttosto che tenerli ossessivamente puliti. “Quello che non mi uccide mi fortifica”, diceva Friedrich Nietzsche, che sicuramente se la sarebbe cavata a meraviglia in un programma come Sos Tata.

A quanto sembra, riducendo la “finestra del sonno” alziamo la posta e lanciamo una sfida alla nostra capacità di dormire, costringendola a dare il meglio di sé. (Invece, se cerchiamo di vincere l’insonnia restando più tempo a letto, abbassiamo la posta: a ogni ora che passa, riuscire ad addormentarci diventa meno importante).

E questo principio non si applica solo al sonno: se in un lavoro volete dare il meglio di voi, provate a concedervi solo poche ore. Funziona, come sa bene qualsiasi giornalista che ha una scadenza. A pensarci bene, la soluzione all’insonnia ce l’ho avuta sotto il naso tutto il tempo: mi sarebbe bastato immaginare l’espressione torva e impaziente del mio direttore. Quando una cosa va assolutamente fatta, si trova sempre il modo di farla.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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