26 giugno 2017 13:15

Gli autori di un recente studio della Columbia university sostengono che è più facile essere creativi nel proprio lavoro – e anche più sereni di spirito – se si programmano le pause piuttosto che fermarsi quando se ne ha voglia.

Chi mi legge regolarmente avrà riconosciuto uno dei temi che mi sono più cari: programmare la propria vita è quasi sempre una buona idea, la spontaneità è sopravvalutata, e chi si vanta di essere “totalmente spontaneo” è una persona da evitare (anche se a livello di rapporti sociali non costituisce un problema, perché non rispetta mai i progetti fatti insieme). Insisto su questo, perfino in presenza del maggiore ostacolo a qualsiasi programmazione, cioè un bambino di sei mesi, perché lo scopo di un piano non è rispettarlo religiosamente, ma non dover decidere che cosa fare la prossima volta che ci si trova davanti a una scelta.

Anzi, probabilmente un piano di lavoro è ancora più importante se la nostra vita è piena di eventi imprevedibili che richiedono attenzione immediata, perché una volta superato il momento di crisi saremo troppo confusi per prendere una decisione saggia. Lasciate perdere il carpe diem, meglio il carpe horarium, evviva il piano di lavoro.

Come pesci nell’acqua
Per realizzare il nuovo studio (che ho scoperto tramite il blog Science of us) i partecipanti hanno svolto una serie di compiti di diversa natura che comportavano la soluzione di problemi e l’uso della creatività. Alcuni di loro li hanno svolti seguendo un ordine casuale, altri stabilendo un piano. E i secondi se la sono cavata meglio su tutta la linea. Secondo i ricercatori, questo è dovuto al fatto che ci rimane difficile capire quando scatta la “fissazione cognitiva”, cioè quando non siamo più capaci di tirar fuori nuove soluzioni, ma ricalchiamo sempre gli stessi percorsi mentali. Se aspettiamo di avere la sensazione di non essere più creativi, probabilmente resteremo più a lungo in una situazione di stallo.

“I partecipanti che non si staccavano da un compito a intervalli regolari finivano per partorire ‘nuove’ idee molto simili a quelle precedenti”, hanno spiegato gli autori alla Harvard Business Review. Perciò, “se esitate a interrompere un’attività perché pensate di stare andando a gonfie vele, state attenti, perché potrebbe essere un’impressione sbagliata”. È interessante anche notare che staccarsi in realtà significava semplicemente passare a un compito diverso. Cambiare attività, a quanto sembra, vale quanto riposarsi, quello che conta è farlo in modo regolare.

Il trucco consiste nel non fidarci ciecamente delle sensazioni, ma giudicarle con il senno di poi

Da questo esempio si può trarre anche una conclusione più generale. Presi dalla loro rigidità mentale, i partecipanti non si rendevano conto che si trattava di rigidità mentale, come un pesce non si rende conto di essere nell’acqua, e sembra che molti stati psicologici funzionino nello stesso modo.

Prendiamo la rabbia: quando ci arrabbiamo per un qualsiasi piccolo contrattempo – per esempio, perché qualcuno ha saltato la fila – la nostra rabbia sproporzionata ci sembra proporzionata.

Il senso di solitudine spinge le persone a evitare i rapporti sociali, mentre fare esattamente il contrario, cioè mescolarsi agli altri, le aiuterebbe. Quando siamo demotivati, non ci rendiamo conto che fare ciò che stiamo evitando è l’unico modo per sentirci di nuovo motivati. E così via. Il trucco consiste nel non fidarci ciecamente delle nostre sensazioni, ma imparare a giudicarle con il senno di poi. Un modo per farlo è avere un piano d’azione, perché è una guida che non si basa su quello che abbiamo voglia di fare in un determinato momento. Quindi – per insistere sul concetto – programmare è sempre una buona idea.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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