18 luglio 2017 11:56

Tutti quelli che lavorano in un ufficio odiano le riunioni. È ovvio. Ma il loro è uno strano tipo di odio, simile a quello dei londinesi per la Northern Line, o dei newyorchesi per i turisti che camminano troppo lentamente: l’antipatia c’è, ma se quella cosa tanto disprezzata non ci fosse più, sentirebbero di aver perso un pezzo di cuore.

“Quando abbiamo cercato di capire perché le persone sopportano pazientemente lo spreco di tempo e l’attentato alla loro sanità mentale costituito dalle riunioni, abbiamo scoperto una cosa sorprendente”, hanno scritto di recente sulla Harvard Business Review le ricercatrici Leslie Perlow, Eunice Eun e Constance Hadley. “Quelli che ne sono più infastiditi e le odiano di più tendono anche a difenderle, spesso con grande passione, perché le considerano un ‘male necessario’”.

Dalle ricerche emerge che è vero che oggi in media le riunioni occupano molto più tempo che in passato, e che, se fatte male, abbassano i livelli di creatività e di benessere dei dipendenti. Ma negli uffici funziona così, no? Nessuno si aspetta di divertirsi. È per questo che si chiama lavoro.

Gerarchie e distrazioni
Alla base di questo atteggiamento c’è il presupposto che ci viene inculcato non solo in ufficio, ma anche in famiglia come figli, genitori o partner, che la comunicazione è sempre una cosa positiva. Quindi si moltiplicano i consigli per comunicare meglio, per esempio discutendo in piedi, perché così si arriva prima al punto. Ma anche quando qualche startup attira l’attenzione dei mezzi d’informazione abolendo del tutto le riunioni, il principio secondo il quale una maggiore comunicazione è sempre positiva non viene mai messo in discussione.

Anzi, è rafforzato dal fatto che spesso queste aziende introducono il flat management, in cui le gerarchie quasi scompaiono e i capi sono sempre a disposizione di tutti mentre le distrazioni elettroniche aumentano. “Usiamo le email e i canali di consultazione per scambiare messaggi tutto il giorno nella speranza che questa attività si trasformi in valore”, osserva Cal Newport, il quale nel suo libro Deep work sostiene che la connettività costante è deleteria sia ai fini della soddisfazione nel proprio lavoro sia a quelli della produttività.

Comunicare continuamente impedisce la concentrazione essenziale per lavorare bene

E comunque, se ci pensate per un istante, forse è scontato che comunicare di più non è detto che sia positivo. “Spesso”, per citare una frase attribuita allo scrittore e pittore Harlan Miller, “la differenza tra un matrimonio felice e uno zoppicante la fanno tre o quattro cose non dette al giorno”. In ufficio, di sicuro sono molte di più, anche se per un motivo diverso: comunicare continuamente impedisce quel tipo di concentrazione che è essenziale per lavorare bene. Eppure siamo così abituati a pensare che parlare sia sempre positivo, per risolvere conflitti o trovare nuove idee, che non ci rendiamo conto di quando diventa un problema.

Newport racconta quello che successe nei primi anni del secolo scorso alla Pullman, la fabbrica di vagoni ferroviari in cui era consuetudine che tutti parlassero con tutti, il che significava che i dipendenti erano sempre informati, ma anche continuamente interrotti in quello che stavano facendo. A un certo punto il presidente della società risolse il problema introducendo procedure più formalizzate, che rendevano più difficile parlare e permettevano a tutti di andare avanti con il proprio lavoro.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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