20 marzo 2018 13:27

Parliamo di Jordan B. Peterson. Finora ho resistito alla tentazione di fare commenti su questo personaggio che fa parlare di sé da tanti anni ed è argomento di miliardi di articoli, perché non so che cosa pensare di lui. Chiaramente alcuni dei suoi estimatori sono molto fastidiosi, soprattutto quelli che sputano veleno misogino contro Cathy Newman di Channel 4, dopo che ha sottoposto il loro mito a un’intervista, con delle dosi normali di aggressività per gli standard inglesi.

A Peterson piace spiegare le differenze tra uomini e donne in termini evolutivi, sulla base di prove spesso inconsistenti (e chissà che cos’altro c’è nelle ore di video su YouTube che non ho visto). D’altra parte, è chiaro che molti dei suoi detrattori non hanno nemmeno aperto il suo bestseller 12 regole per la vita, un libro piuttosto lungo, spesso brillante e a volte esasperante costruito intorno al messaggio che la vita funzionerebbe meglio se ci assumessimo le nostre responsabilità invece di dare la colpa di tutto agli altri, se cercassimo piaceri di lunga durata invece che effimeri, se dessimo una struttura alla nostra giornata e mettessimo in ordine la nostra stanza. Se tanti giovani alla deriva si rivolgono a lui, non è certo negativo. Anzi spero che seguano i suoi consigli, così staremo meglio tutti.

Rompere la routine
Ultimamente però la mia ambivalenza nei confronti di Peterson è diventata una sfida: perché mai dovrei essere obbligato a decidere se lo psicologo canadese è il male assoluto? Non sento obblighi di questo tipo nei confronti di Peterson e di nessun altro naturalmente. È un sintomo di questa epoca di eccessiva partigianeria, in cui tutto è politica – ogni film, ogni libro, ogni evento sportivo, più tutta la politica ordinaria – ed è nostra responsabilità, da buoni cittadini, adottare e difendere strenuamente un punto di vista preciso e assolutista, comunque vadano le cose. In questo noi giornalisti siamo senza dubbio i peggiori. Ma se pensate che siamo i soli, provate a passare tre minuti su Twitter, o a leggere la sezione dei commenti sotto un articolo.

Questo atteggiamento è sbagliato in particolare quando si vogliono valutare consigli di vita come quelli che dispensa Peterson. Dopotutto, non ha molto senso respingere un punto di vista che ci sembra utile perché chi lo esprime ha torto su altre cose o perché non condividiamo le sue idee politiche. Perfino il fumettista Scott Adams, che oggi sostiene Donald Trump, ha scritto un libro niente male sulla produttività.

Per esempio, il suggerimento di Peterson di “trattarci come qualcuno che abbiamo la responsabilità di aiutare” è abbastanza profondo. E i suoi consigli su come rompere la routine sono stimolanti: “Prova a chiederti: ‘C’è una cosa che non funziona nella tua vita o una situazione che potresti e vorresti modificare?’ E poi chiediti: ‘Che cosa potrei e sono disposto a fare per ottenere questo risultato e quale piccola ricompensa vorrei in cambio?’”. Forse è banale.

Ma preferireste criticarne la banalità o rompere quella routine? Credere ciecamente a tutto quello che dice un guru è patetico, ma respingere ogni suo consiglio per principio lo è altrettanto. Siete sul serio così privi di forza di volontà da temere di arrivare a venerarlo se leggete le sue opere? Come direbbe Peterson: Diamine, abbiate un po’ di rispetto per voi stessi!

Consigli di lettura

The road less traveled di M. Scott Peck con la sua famosa osservazione iniziale, “la vita è difficile”, offre una visione complementare e meno battagliera di quella di Peterson.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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