09 marzo 2023 14:38

Anche per gli standard di Israele – un paese abituato a essere accusato di violazioni dei diritti umani, di crimini di guerra e di non rispettare il diritto internazionale – febbraio è stato un mese complicato. Dalle rivelazioni sulle aziende del paese accusate di aver tentato di manipolare elezioni in tutto il mondo, alle scene di questi giorni, in cui i coloni illegali, protetti dall’esercito, hanno compiuto un pogrom contro i palestinesi a Hawara, in Cisgiordania, Israele ha mostrato al mondo il suo vero volto.

Due settimane fa alla cerimonia d’apertura del vertice dell’Unione africana (Ua) ad Addis Abeba, in Etiopia, c’è stata un’altra brutta sorpresa. La diplomatica israeliana Sharon Bar-Li – che si era presentata in sostituzione dell’ambasciatore di Israele presso l’Ua – è stata allontanata dall’incontro. Un video sui social network mostra il personale di sicurezza che la scorta fuori dalla sala. Moussa Faki Mahamat, presidente della commissione dell’Unione africana, ha chiarito che l’accreditamento di Israele come stato osservatore è ancora sospeso.

Come il boicottaggio
Ma il peggio doveva ancora venire. In una bozza di dichiarazione fatta circolare tra i giornalisti alla fine del vertice, l’Ua non solo ha espresso “pieno sostegno al popolo palestinese nella sua legittima lotta contro l’occupazione israeliana”, ma ha anche esortato gli stati africani a “mettere fine a tutti gli scambi commerciali, scientifici e culturali con lo stato d’Israele”. Se messa in pratica, quest’ultima raccomandazione, che riecheggia il movimento boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds), potrebbe essere l’inizio di un cambiamento per le sorti d’Israele in tutto il mondo.

Dopotutto non è la prima volta che l’Africa prende le redini di un movimento globale che cerca di fare pressione su regimi oppressivi ed etnosuprematisti, come quello contro l’apartheid in Sudafrica. La bozza invita “la comunità internazionale a smantellare il sistema israeliano di colonialismo e apartheid”.

Sono parole forti. Ma non si sa se seguiranno azioni concrete. Il rapporto tra Africa e Israele è complesso

Sono parole forti. Ma non si sa se seguiranno azioni concrete. Il rapporto tra Africa e Israele è complesso. Le posizioni dell’Ua e quelle dei singoli stati non sono sempre allineate. Negli ultimi ventun’anni, l’organizzazione ha mantenuto delle posizioni di principio, mentre i suoi membri sono stati più pragmatici. Inizialmente Israele cercò di stringere legami con i paesi africani diventati da poco indipendenti. Nel 1972 aveva più ambasciate in Africa del Regno Unito, intrattenendo relazioni con 32 dei 41 stati africani indipendenti che facevano parte dell’Organizzazione dell’unità africana (Oua), fondata nel 1963 e che successivamente è diventata l’Unione africana. In quel periodo i tentativi dei paesi nordafricani, guidati dall’Egitto, di ottenere il sostegno alla causa araba nel resto dell’Africa erano stati in gran parte infruttuosi, poiché le nazioni relativamente giovani non volevano restare invischiate nel conflitto. Ma gli atteggiamenti cominciarono a cambiare dopo la guerra arabo-israeliana del 1967.

La vera rottura avvenne dopo la guerra dello Yom kippur del 1973. Nonostante la resistenza di molti, i problemi del Medio Oriente si erano fatti strada nell’agenda dei paesi africani. In occasione del vertice del 1971 l’Oua fece un tentativo inefficace di mediare tra arabi e israeliani. Tra il marzo 1972 e lo scoppio della guerra nell’ottobre 1973, otto stati africani ruppero le relazioni con Israele. Nella riunione per il decimo anniversario dell’organizzazione, l’allora segretario generale dell’Oua dichiarò: “Finché Israele occuperà parti dell’Egitto continuerà ad avere la nostra condanna”. Molti altri stati però si rifiutarono di sacrificare i rapporti con Israele.

Furono la guerra dello Yom kippur e il conseguente embargo petrolifero, che fece salire i prezzi del petrolio a livello mondiale, a modificare i loro calcoli. A parte poche eccezioni, tutti gli stati africani abbandonarono Israele, che in seguito contribuì a peggiorare la situazione coltivando una stretta relazione con il regime dell’apartheid in Sudafrica. Nonostante la ripresa delle relazioni negli anni ottanta e novanta, Israele non ha mai riacquistato il ruolo di vent’anni prima nel continente. Anche se oggi ha relazioni diplomatiche con più di quaranta paesi, è escluso dall’Ua. La maggioranza dei 54 voti africani all’assemblea generale delle Nazioni Unite si schiera con i palestinesi.

La situazione attuale ricorda quella del 1973. Alcuni paesi bilanciano un’opposizione di principio all’apartheid israeliano con una pragmatica cooperazione economica. Ma una crisi potrebbe cambiare gli equilibri. Le conclusioni di una valutazione interna del ministero degli esteri israeliano del luglio 1973 sono ancora valide: “L’immagine d’Israele come occupante non è accettabile in Africa, e le richieste arabe ricevono un sostegno istintivo anche tra i nostri amici. C’è il pericolo che queste tendenze si aggravino”. Gli eventi di Addis Abeba lo dimostrano.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Al Jazeera.

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