20 maggio 2013 12:37

Appena una settimana dopo essere stato nominato segretario generale del Partito democratico (Pd), Guglielmo Epifani siede già sul banco degli imputati. L’accusa? Essere stato assente (insieme alla maggior parte degli eletti del Pd) dalla manifestazione organizzata sabato 18 maggio a Roma contro l’austerità. Secondo gli organizzatori (la Fiom, che nella Cgil rappresenta i lavoratori metallurgici, e il partito Sinistra ecologia libertà) alla manifestazione di piazza San Giovanni hanno partecipato centomila persone. Si dà il caso che Epifani sia proprio un ex dirigente della Cgil, nella quale ha fatto tutta la sua carriera fino a ricoprire la carica di segretario generale dal 2002 al 2010.

Oggi a Epifani si rimprovera di aver abbandonato i lavoratori, di aver voltato le spalle a chi soffre per la crisi, in particolare all’11,8 per cento di disoccupati e ai giovani, che ne costituiscono la maggior parte. Per difendersi, il nuovo segretario del Pd spiega: “Ho passato una vita in piazza, ma quando si hanno responsabilità di governo il punto non è stare nelle piazze ma risolvere i problemi che le piazze ti pongono”.

Parole che riassumono bene tutto il problema del Pd. Il partito che guida con Enrico Letta la coalizione di governo si trova ancora una volta ad affrontare la sua originaria incertezza identitaria, incapace di scegliere tra il riformismo socialdemocratico, a cui praticamente tutti i suoi dirigenti si sono convertiti, e il radicalismo di una parte della sua base, che li accusa di “tradimento”.

Organizzata all’indomani dell’adozione dei primi provvedimenti da parte del consiglio dei ministri, la manifestazione suona già come un campanello d’allarme per Letta. Mentre Silvio Berlusconi rivendica come una sua vittoria la sospensione della rata di giugno dell’Imu, buona parte della sinistra si chiede cosa ci si guadagni a stare al governo con la destra. Al congelamento dell’impopolare tributo sulla casa, di cui il Cavaliere aveva fatto il suo cavallo di battaglia in campagna elettorale, i sindacati avrebbero preferito provvedimenti a favore dell’occupazione.

E allora: mostrarsi “responsabili” partecipando al governo dopo aver sostenuto quello di Monti, o al contrario mettersi dalla parte di quanti reclamano un altro modo di fare politica? Nella prima ipotesi, il Pd può pesare sulle decisioni del governo, nella seconda può ritrovare un po’ della fiducia perduta dei suoi elettori.

Nell’attesa che il partito si decida una buona volta tra le sue linee direttrici e le divisioni interne, Beppe Grillo gira il coltello nella piaga. A sentir lui il Pd è morto o quasi, e perciò le prossime elezioni si giocheranno tra il suo partito, il Movimento 5 stelle, e Berlusconi. Sabato scorso, al termine della manifestazione, quando già nascevano le prime polemiche, Grillo ha invitato i militanti del Pd a stracciare le tessere e ad andare con lui.

Traduzione di Marina Astrologo

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