Anche se a Roma splendeva un sole radioso, sabato 22 febbraio, intorno alle 13, su palazzo Chigi soffiava un freddo glaciale. Il tradizionale passaggio della campanella – con cui il capo del governo interrompe i discorsi o gli interventi troppo lunghi durante il consiglio dei ministri – tra Enrico Letta in uscita e Matteo Renzi in entrata si è consumato senza una parola, senza uno sguardo, senza un sorriso, nemmeno forzato, del primo verso il secondo. Se Letta avesse potuto far sbattere quella maledetta campanella sulla faccia del suo successore, lo avrebbe fatto senza dubbio, ancora furibondo per essere stato cacciato, insieme al suo “governo di servizio”, da quello che considera un “golpe di palazzo”.

Renzi però se ne infischia del cattivo umore di Letta, come dei suoi primi calzoncini di velluto a coste da scout. Continua a sorridere, indifferente a questo peccato originale che pesa sul suo esecutivo e che un giorno potrebbe rendere possibile la sua liquidazione per mano degli stessi che ha appena allontanato. Lavora e lo vuole far sapere. È la sua maniera di fare politica. Appena mette le mani su un nuovo dossier, dal suo account Twitter

@matteorenzi parte immediatamente un tweet per avvertire i suoi 850mila follower. Niente di ciò che lo riguarda o di ciò che fa deve essere ignorato. Il suo smartphone è una sorta di cordone ombelicale che lo lega al mondo. Venerdì sera, mentre i giornalisti attendevano impazienti la fine del suo colloquio insolitamente lungo (due ore e mezzo) con il presidente della repubblica, twittava: “Arrivo, arrivo”. Sabato, momentaneamente sparito dagli schermi televisivi, avvertiva quanti già sentivano la sua mancanza: “Compito tosto e difficile. Ma noi siamo l’Italia, ce la faremo. Un impegno: rimanere noi stessi: liberi e semplici”.

Domenica, con un altro messaggio di 120 caratteri avvisava di essersi svegliato nella sua casa di Firenze e di essersi già messo al lavoro con il suo braccio destro, Graziano Delrio, anche lui ex sindaco eletto. “Metodo, metodo, metodo. Non annunci spot, ma visione alta e concretezza da sindaci”. Dopo aver risposto a qualche domanda, Renzi interrompe lo scambio con un ultimo messaggio: “Mi fermo qui. Altrimenti passo la domenica su Twitter anziché sul dossier”. Sembra quasi sentirli fischiettare “twittiam, twittiam, twittiam e lavoriam”, sulla melodia della canzone dei sette nani. Senza dubbio bisognerà farci l’abitudine.

Da questa settimana, dopo il voto di fiducia il 24 febbraio al senato, dove la sua maggioranza è risicata, e l’indomani alla camera, ha promesso: “Riprenderemo con #matteorisponde”, le conversazioni su Twitter avviate durante la campagna per le primarie del Partito democratico.

Enrico Letta non twitta. Ma si esprime molto bene anche senza parole.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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