28 luglio 2014 14:26

Impossibile resistere alla tentazione di riaprire questo blog (peraltro “chiuso per ferie”, come si può leggere sulla vetrina della maggior parte dei cinema romani) per un piccolo commento sulla scontata vittoria di Vincenzo Nibali al Tour de France.

Nel leggere la stampa del 27 luglio, che dedica molte pagine (anche se non bisogna esagerare, visto che tra non molto il calcio si riprenderà i suoi diritti) sullo “squalo di Messina” e sulla saga dei vincitori italiani del tour (Bottecchia, Coppi, Bartali, Gimondi, Pantani), ho l’impressione che Vincenzo abbia fatto dimenticare Marco.

Mi sembra addirittura che qui e là si possa scorgere una certa impazienza di voltare pagina, nel desiderio che Nibali cancelli non l’immagine di Pantani il pirata – ultimo vincitore italiano nel 1998, generoso nello sforzo, imprevedibile e martire – ma l’imbarazzo che nonostante tutto c’era nel costruire un mito, una metafora dell‘“Italia che vince” su un atleta dopato e morto di overdose in un albergo deserto di Rimini in un giorno d’inverno del 2004. Un bel soggetto per un romanzo (e ce sono), ma un po’ troppo scomodo per l’edificazione delle masse.

Personaggio tragico, Pantani – la cui morte ha concluso la sua inesorabile corsa verso il baratro – portava con sé tutti i difetti delle sue qualità, che erano in fin dei conti difficili da accettare.

Nibali invece, anche se la sua vittoria è accompagnata da un dubbio legittimo (come quella di qualunque altro ciclista sugli Champs Elysées, visto che ormai il ciclismo è entrato nell’era del sospetto), volta le spalle al melodramma nel quale si era svolta l’epopea del Pirata. “Mi diverto”, ha detto dopo ogni suo trionfo. Una frase nella quale bisogna vedere più la volontà di distinguersi dal suo predecessore e dai suoi fantasmi che la rivendicazione di uno stato d’animo.

Eroe positivo (senza alcuna intenzione polemica), Nibali ha lasciato la sua Sicilia natale per cercare fortuna prima in Toscana e poi in Svizzera, come molti suoi compatrioti costretti all’esilio, ed è salito un gradino dopo l’altro sulla strada della gloria. Le sue prestazioni, anche se obbligano al rispetto, non suscitano necessariamente dubbi. “Un uomo normale”, afferma la stampa italiana. E Nibali è lo specchio nel quale gli italiani amano riflettersi. Sempre che nessuno lo rompa.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it