21 aprile 2010 00:00

1 Virginiana Miller, Frequent flyer

Canzone del tutto intempestiva, e quindi perfetta nel momento in cui, in Europa, svolazzano solo le ceneri dell’Eyjafjallajökull. E questa band di ganziferi livornesi, in apertura del loro album Il primo lunedì del mondo, inneggia a esperienze di volo old-fashioned, tipo le minibottiglie di alcolici, i cubetti di ghiaccio e le sinuose safety instructions delle hostess. Reperti di quando volare faceva un po’ James Bond. Poi è diventato un banale esercizio di pazienza da pendolari. Ma adesso sembra ridiventare un’inebriante prova da avventurieri e vulcanologi.

2 Mgmt, Siberian breaks

Se l’aviazione fa cilecca, e gli unici voli consentiti sono quelli pindarici, largo all’inventiva mattacchiona dei due ragazzotti americani, in stile da college East coast. Sono tornati con Congratulations, una specie di astronave retrò che volteggia nella nebbia della psichedelia londinese fine anni sessanta. Il folle volo li porta a impelagarsi in questa suite siberiana di 12 minuti. Una fantasia di vinile, con la puntina che salta da Syd Barrett ai Genesis, scorrendo nei Traffic e alla corte dei King Crimson. Tante idee, e un eroico sprezzo della disciplina.

3 Laura Marling, Hope is in the air

La speranza è nell’aria: liberaci dalla cenere, lasciaci volare. Non che alla cantautrice nu-folk britannica importi molto: le canzoni del suo recente I speak because I can sembrano levitare da sole, fuori dalla modernità e da ogni contesto aeronautico. Mille anni che sta qui, questa ventenne: e proprio per questo è la cosa più attuale che ci sia in giro. Mentre tutti prendiamo le misure a ipotesi destabilizzanti e ci attacchiamo al viaggio libero delle notizie, ecco un bel canto precontemporaneo a ricordarci che la vita è una candela con stoppino. Basta un soffio.

Internazionale, numero 843, 23 aprile 2010

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