06 novembre 2019 17:56

1. Sudan Archives, Glorious
È un violino africano che sembra quasi celtico, sopra un ritmo e blues americano in viaggio dall’Ohio alla California. A suonarlo nel suo album Athena è lei, Brittney Parks, la ventisettenne divinità black Vivaldi panther, cantante global funk con ospitate rap e nome d’arte da centro documentazione. Gloriosamente sui generis, quasi sperimentale ma con makeup e muscolo Spotify. Interessata a quasi tutto e spaventata da nulla, è lei la nuova supereroina da ascoltare per sentirsi passabilmente vicini ad Alexandria Ocasio-Cortez.

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2. Laago!, Dormi
Se il nome d’arte di questa one man band partorita dalla mente del trentenne romano Andrea Catenaro suona come “suono” in lingua yoruba, il grosso dei suoni è pescato dall’indie d’America e risciacquato nel Tevere. L’album si intitola Le fasi del sonno e vi si cita “l’irrilevanza di litigare i voti dei dischi”. Compaiono figure midcult come Bob dei Pavement o Jason Lytle dei Grandaddy, tutto vibra di simpatico spleen da sogno psichedelico, anche se tessere le lodi della camomilla e della notte non è roba da togliere il sonno a Damiano dei Måneskin.

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3. MeVsMyself, Gurfa
Per i tanti che apprezzano Bobby McFerrin o Jacob Collier, e ancora si sognano Giuni Russo che poteva “cantare la Norma di Bellini con dei fonemi sardi oppure giapponesi le trifonie dei mongoli”, ecco lo sperimentatore milanese Giorgio Pinardi ripartire dalle tecniche usate dai cantori della Mongolia e dai timbri suggestivi dell’Africa passando per musica indiana, bulgara, medio-orientale. Realizzato con la sola voce, frammentata in sovraincisioni a tappeto, il suo album Mitclàn è una Babele di fonemi, emozioni, caos e armonie.

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Questo articolo è uscito sul numero 1331 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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