12 gennaio 2017 18:01

The founder di John Lee Hancock racconta la storia di Ray Kroc, l’uomo che ha trasformato un chiosco di due ristoratori in gamba in una multinazionale. Personaggi realmente esistiti, visto che si parla della più invadente catena di fast food del pianeta. Michael Keaton fornisce in scioltezza ciò che il ruolo di Kroc richiede, dalle frustrazioni iniziali come rappresentante di frullatori al cinismo del magnate finale. Intorno a lui una serie di comprimari su cui spiccano Nick Offerman e John Carroll Lynch nei panni degli inventori del fast food.

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Chi ha visto Saving Mr. Banks, il precedente film di John Lee Hancock, può riscontrare un tono comune. Anzi un semitono. Una sorta di deferenza. Un conto però è quando si parla della bonaria ostinazione di Walt Disney/Tom Hanks, che vuole a tutti i costi fare un film sul libro della bonariamente ostinata P.L. Travers/Emma Thompson. Diverso è quando parliamo di un uomo d’affari la cui “perseveranza” serve a prendere il sogno americano di due uomini d’altri tempi, trasformarlo in una polpetta di cartone e fargliela ingoiare, magari accompagnata da un milk shake fatto con le polverine.

Anche se Saving Mr. Banks è un film tutt’altro che memorabile, questo semitono ha funzionato per stemperare le insidie in technicolor del mondo Disney. Ma quella dei (vari) fondatori della ubiqua catena di fast food è una storia grigia e il semitono non serve a renderla più cupa, ma solo più grigia. Forse Antony Lane sul New Yorker esagera quando scrive che The founder “rischia di essere il primo film della nuova era trumpista” (e non solo perché negli Stati Uniti il film esce proprio il 20 gennaio, giorno in cui Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca). Ma possiamo capire perché l’ha scritto. Ray Kroc infatti non è dipinto come “il male”, ma come un uomo d’affari che alla fine addenta il panino giusto. Deciso, cinico, al limite avido ma, grazie ai semitoni, neanche poi tanto.

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Quello di Martin Scorsese con la religione cattolica è un rapporto di lunga data. Risale infatti alla sua infanzia e ha caratterizzato molte delle sue scelte come regista. Silence, tratto dal romanzo Silenzio dello scrittore cattolico giapponese Shūsaku Endō, racconta il viaggio di due gesuiti portoghesi (Andrew Garfield e Adam Driver) nel remoto Giappone del seicento alla ricerca del loro confratello e mentore (Liam Neeson), accusato di aver sconfessato la fede cattolica in seguito alle torture subite.

A Scorsese, l’idea di fare un film ispirato al romanzo di Endō è venuta più di venti anni fa, come racconta in una breve intervista che pubblicheremo il 13 gennaio, più o meno subito dopo la realizzazione dell’Ultima tentazione di Cristo. Un qualunque legame con quella pellicola può solo deporre a favore di Silence. Al contrario, la gestazione lunga di solito significa che produrlo non è stata proprio una passeggiata. Ma non si può non voler bene a Scorsese e se è riuscito, finalmente, a realizzare un suo progetto, magari anche grazie al successo di Wolf of Wall street, possiamo solo gioire con lui.

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In uscita anche Allied di Robert Zemeckis. Brad Pitt è un pilota canadese, Marion Cotillard una partigiana della resistenza che è dovuta scappare dalla Francia occupata. S’incontrano nel 1942 a Casablanca per una missione e, guarda un po’, s’innamorano. La missione va a buon fine e i due convolano a nozze. Tutto troppo facile, anche perché non siamo neanche a un quinto del film.

Di Allied si è parlato di più immediatamente dopo la notizia del divorzio di Brad Pitt e Angelina Jolie che a ridosso della sua uscita. Una mancanza di rispetto imperdonabile per un altro regista a cui non si può non voler bene. Perché, anche se l’ultimo film di Robert Zemeckis, The walk, non passerà agli annali, il suo penultimo, Flight, è un film fantastico (e il protagonista era sempre un pilota).

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