03 ottobre 2018 11:41

Se avete 36 anni e siete francesi, avete conosciuto cinque presidenti della repubblica. Se siete americani, ne avete visti sette. Persino i trentaseienni nordcoreani hanno avuto tre diversi presidenti, anche se appartenenti alla stessa famiglia. Se invece siete camerunesi, per voi il presidente è uno e uno solo: Paul Biya!

Questa lunga storia non è ancora arrivata alla fine, perché domenica 7 ottobre il vigoroso capo di stato di 85 anni cercherà di ottenere il suo settimo mandato settennale alla guida del paese. L’elezioni a turno unico sono assolutamente pluraliste, con otto candidati che si sono presentati per scalzare Biya. Ma in realtà la suspense è limitata.

Dopo l’uscita di scena di Robert Mugabe in Zimbabwe, l’anno scorso, soltanto un capo di stato al mondo può vantare una longevità maggiore ai comandi della sua nazione: il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema, che presto raggiungerà la soglia dei quarant’anni di governo. Non esattamente un esempio democratico.

Un progetto fallito
Paul Biya è arrivato al potere nel 1982 con un “colpo di stato chirurgico”, sostituendo l’uomo che la Francia aveva posto alla guida del paese dopo l’indipendenza del 1960, Ahmadou Ahidjo.

Paul Biya era già inserito nell’apparato statale. Ex seminarista, era stato segretario generale della presidenza e poi primo ministro, prima di diventare presidente mettendo alla porta il suo anziano predecessore. Sostenuto da Parigi, era stato accolto come una boccata d’ossigeno in un sistema paralizzato.

Ma alla fine anche Biya ha chiuso i lucchetti, creando un regime autoritario e nepotistico che gli ha permesso non soltanto di mantenere il potere, ma di prosperare. Oggi è talmente sicuro della sua forza da potersi assentare dal paese per diverse settimane ogni anno, in villeggiatura in Francia e soprattutto in Svizzera, con un numeroso seguito.

Questa potrebbe essere la storia di un paese felice con grandi risorse petrolifere, agricole e minerarie, sufficienti per mantenere i suoi 23 milioni di abitanti. In effetti il Camerun presenta un tasso di crescita annua del 4 per cento, una cifra invidiabile, ma i cui benefici restano lontani dalla popolazione.

Il Camerun che va alle urne domenica è un paese in preda a crisi multiple. Nel nord musulmano, il governo deve affrontare gli attacchi di Boko haram, il gruppo jihadista nato nella vicina Nigeria.

Ma oggi è soprattutto la parte occidentale del paese ad alimentare le preoccupazioni. Questa regione anglofona e minoritaria, associata al Camerun francofono in occasione dell’indipendenza, mal sopporta la sua emarginazione e da quasi un anno è sostanzialmente in rivolta.

Nei due casi, la repressione è brutale. Un video verificato dalla Bbc il mese scorso mostra l’esecuzione sommaria di donne e bambini da parte si soldati camerunesi, confermando le numerose inchieste delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani.

Davvero Paul Biya può essere ritenuto la risposta ai problemi del paese, considerando che regna incontrastato da 36 anni? Come diversi altri stati africani, il Camerun è intrappolato in un’impasse politica, e di sicuro un settimo mandato di Biya non servirà a tirarlo fuori.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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