19 ottobre 2018 11:18

Ci sono molte ragioni per temere una vittoria di Jair Bolsonaro, candidato dell’estrema destra alla presidenza del Brasile evidentemente razzista, sessista e omofobo. Ma ce n’è una il cui impatto va oltre il destino dei brasiliani che lo eleggeranno con ogni probabilità tra otto giorni: le sue idee catastrofiche per l’ambiente, o piuttosto contro l’ambiente.

Soprannominato “il Trump tropicale”, Bolsonaro condivide alcune idee con il presidente degli Stati Uniti, a cominciare dalla tesi secondo cui l’accordo sul clima di Parigi sarebbe un pessimo accordo per il suo paese. Se il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo era già un segnale negativo, quello del Brasile sarebbe catastrofico, perché parliamo di un paese che rappresenta il “polmone verde del mondo” grazie alla foresta amazzonica.

Il programma di Bolsonaro non lascia spazio all’ambiguità: il candidato di destra vuole sopprimere il ministero dell’ambiente accorpandolo con quello dell’agricoltura, vuole dedicare altre aree boschive alla coltivazione della soia e all’allevamento e vuole negare qualsiasi ulteriore diritto sulla terra ai popoli indigeni.

Jair Bolsonaro promette di operare una svolta a spese dell’ambiente e a favore degli interessi economici privati intenzionati a far saltare le catene che frenano la loro espansione nella regione amazzonica. La coalizione tra i proprietari terrieri e l’industria agroalimentare dispone di grandi mezzi finanziari e di un solido appoggio in parlamento.

Le posizioni di Bolsonaro seguono i grandi interessi che vorrebbero sfruttare l’Amazzonia, ma non solo

Il Brasile ospita la più grande foresta del mondo e di conseguenza assorbe enormi quantità di anidride carbonica. Il suo impatto sul ciclo dell’acqua e del carbonio è paragonabile a quello sulla protezione della biodiversità.

Tuttavia, all’interno della crisi economica e finanziaria attraversata dal paese in questo momento, queste preoccupazioni passano in secondo piano.

Finora la situazione era stata ambigua. Nonostante le sue ambivalenze, infatti, l’ex presidente Luiz Inácio Lula Da Silva aveva comunque messo un freno alla deforestazione. Ora però la tendenza si è invertita, soprattutto dopo che i conservatori sono tornati al potere due anni fa.

Le posizioni del favorito al secondo turno seguono evidentemente i grandi interessi che vorrebbero sfruttare l’Amazzonia, ma non solo.

Su Libération lo storico Jean-Baptiste Fressoz ha messo in guardia i lettori contro “l’affermazione globale di un nuovo asse autoritario e negazionista del riscaldamento globale” di cui farebbero parte Bolsonaro e Trump, ma anche il presidente filippino Ricardo Duterte, i populisti polacchi, l’estrema destra tedesca e i sostenitori della “Brexit dura” nel Regno Unito.

Nella campagna per il primo turno, la voce ecologista era stata quella di Marina Silva, ex ministra di Lula che aveva sbattuto la porta restando fedele alle sue convinzioni. Silva ha ottenuto l’1 per cento dei voti. A prevalere è stato il “carbo-fascismo”, come lo hanno definito gli storici. Una pessima notizia per il Brasile ma anche per tutto il pianeta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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