23 aprile 2019 12:03

Nel fine settimana, per le strade di Tripoli sono stati avvistati alcuni gilet gialli. Non erano lì per esprimere solidarietà con i manifestanti francesi, ma per esprimere la loro rabbia nei confronti della Francia, accusata di appoggiare l’offensiva del maresciallo Khalifa Haftar, l’uomo forte della Libia orientale che sta tentando di conquistare la capitale con la forza.

Parigi smentisce fiaccamente e giura di voler partecipare allo sforzo internazionale per trovare una soluzione politica in Libia. “La posizione della Francia è senza ambiguità”, ha fatto presente Parigi manifestando la propria opposizione all’offensiva in corso. La settimana scorsa il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian è perfino andato in Italia (paese che in passato ha spesso criticato la posizione della Francia) per annunciare insieme al suo omologo italiano alcune “iniziative comuni” in Libia.

Eppure, in un’intervista pubblicata da Le Monde il 22 aprile, il primo ministro libico Fayez al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale (Francia compresa), si è detto “sorpreso e perplesso” davanti alla posizione di Parigi. “Come può la Francia, che aspira alla libertà, ai diritti umani e alla democrazia, avere una posizione così poco chiara rispetto al nostro popolo che difende gli stessi valori?”.

Le smentite di Parigi, insomma, non bastano a cancellare l’ambiguità del governo francese, che ha dato corda ad Haftar sulla base di un rapporto consolidato.

La situazione in Libia nell’aprile del 2019.

Nel 2016 tre esponenti delle forze speciali francesi erano morti nell’incidente di un elicottero mentre si stavano recando nella Libia orientale insieme ad alcuni uomini di Haftar. Il ministro Yves Le Drian, all’epoca alla difesa, mantiene rapporti eccellenti con questo ex ufficiale che ha servito Gheddafi prima di andare in esilio e ritornare dopo il 2011 come signore della guerra nella regione orientale del paese.

Khalifa Haftar è sostenuto soprattutto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, e dalla settimana scorsa può vantare una conversazione amichevole con Donald Trump, che non ha mai parlato con il primo ministro di Tripoli.

Dietro il signore della guerra, insomma, c’è una coalizione molto potente. Il 4 aprile Haftar si è lanciato alla conquista di un paese frammentato in diversi territori controllati da milizie rivali. Oggi Haftar controlla circa l’80 per cento della Libia (compresi i giacimenti di petrolio) e sta cercando da giorni di conquistare la capitale, che però resiste più di quanto si aspettasse.

Il colpo di mano tentato dal maresciallo Haftar e dai suoi alleati ha mandato all’aria l’iniziativa politica dell’emissario dell’Onu Ghassan Salamé. La conferenza nazionale a cui Salamé lavorava è sostanzialmente morta, e il paese è sprofondato in quella che viene già definita “la terza guerra civile” dopo la caduta di Gheddafi nel 2011.

Nei fatti la situazione va avanti come se una coalizione che lega Washington e Mosca passando per le monarchie del Golfo (e tacitamente anche per la Francia) avesse scelto un “uomo forte” per “stabilizzare” la Libia, un clone del maresciallo Al Sisi in Egitto. Si tratta di un mito duro a morire sulla sponda meridionale del Mediterraneo, nonostante le rivolte democratiche in Algeria e Sudan.

Tuttavia in questo paese che trabocca di armi e dove le identità regionali sono fortissime, il maresciallo non sembra in grado di imporsi. Il rischio è che abbia silurato il processo politico senza poter realizzare il suo colpo di stato militare. Comunque sia, l’ambivalenza francese minaccia di perseguitare Parigi per molto tempo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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