23 agosto 2019 13:57

È la cronaca di un non evento annunciato. Il G7, il gruppo degli ex principali paesi industrializzati, si riunirà nel fine settimana a Biarritz, con tutto il suo codazzo di misure di sicurezza eccessive, contromanifestazioni agguerrite, “sherpa” e altri diplomatici esausti e catene d’informazione che riempiranno i silenzi senza dire nulla di concreto…

È un rituale immutabile quanto il ritorno dalle vacanze, previsto per lo stesso fine settimana. Ma davvero questa mobilitazione diplomatica generale ha ancora un significato? Il G7 ha qualcosa da dire e soprattutto da fare nel mondo radicalmente cambiato del ventunesimo secolo? Dubitarne è lecito.

Un tempo il G7 era il club dei paesi più ricchi, ovvero le potenze democratiche. Questa corrispondenza tra ricchezza e democrazia non era fortuita: i paesi non democratici, infatti, non erano riusciti a svilupparsi con lo stesso ritmo degli altri. Ora la situazione è cambiata. La Cina rappresenta il modello definitivo di regime totalitario che ha ottenuto grandi successi economici, al punto da diventare la seconda potenza economica mondiale. I paesi petroliferi del Golfo sono un’altra variante dello stesso percorso: pur senza aver modificato il loro sistema politico, oggi possono contare su immense risorse finanziarie.

Nessun gioco di squadra
Il G7 stesso sta vivendo una profonda crisi “morale” – come altro definirla? – dopo l’elezione di Donald Trump, distruttore in capo del “mondo libero” di cui dovrebbe essere il leader incontrastato. L’uomo del Make America great again non ha nessuna intenzione di fare gioco di squadra, e il suo comportamento al G7 del 2018 in Canada, con il ritiro della firma su un comunicato finale faticosamente negoziato, ha spazzato via il poco impegno residuo all’interno del gruppo. Trump, tra l’altro, non è solo. Attorno al tavolo siedono anche l’Italia alla deriva di Giuseppe Conte e il Regno Unito guidato ormai dal demagogo Boris Johnson.

L’opposizione proviene anche dall’interno, da chi pensa che questo format, inventato in un altro mondo, abbia fatto il suo tempo

L’incapacità di rappresentare il mondo attuale e l’assenza di coerenza all’interno del gruppo compromettono discussioni che restano assolutamente necessarie in un contesto internazionale segnato dalle crisi, di governo e non solo. Emmanuel Macron ha invitato alcuni capi di stato a partecipare al vertice, come il primo ministro indiano Narendra Modi, leader della “più grande democrazia mondiale” che però ha appena imposto una dimostrazione di forza in Kashmir spinto dagli ultranazionalisti indù…

Ormai da anni, i vertici annuali del G7 sono regolarmente contestati, e non solo da quelli che li considerano, a torto, il “consiglio di amministrazione” del capitalismo globalizzato. L’opposizione proviene anche dall’interno, da chi pensa che questo format, inventato in un altro mondo, abbia fatto il suo tempo. La nascita del G20 in occasione della crisi finanziaria del 2008 aveva creato un quadro più “rappresentativo”, anche se altrettanto incapace di prendere decisioni operative. In definitiva queste istanze “informali”, parallele all’universo paralizzato delle Nazioni Unite, hanno solo offerto occasioni di incontro e discussione. È già qualcosa…

Ogni anno il paese ospitante non si preoccupa minimamente di riformare il G7, rifiutandosi di rinunciare alla contestabile “gloria” che accompagna l’organizzazione del vertice. Emmanuel Macron non fa eccezione alla regola. Al presidente francese non dispiace essere il protagonista del momento diplomatico più spettacolare dell’anno, anche se i risultati concreti saranno microscopici.

La presidenza francese ha proposto idee innovative e coinvolto i giovani e le donne nell’organizzazione, ma cosa resterà di tutto questo? Il vero incubo, tra l’altro, non è ancora arrivato. L’anno prossimo a presiedere il G7 sarà Donald Trump.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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