06 febbraio 2020 11:48

Se al mondo esiste un governo che non ha ancora inserito nella sua agenda la possibilità che Donald Trump sia rieletto a novembre, farebbe bene a svegliarsi! A otto mesi dal voto, evidentemente, i giochi restano aperti, soprattutto perché al momento non conosciamo tutti i candidati. Ma a questo punto è chiaro che Donald Trump è sulla buona strada.

Certo, il 5 febbraio la democratica Nancy Pelosi gli ha rubato le prime pagine strappando il discorso del presidente in modo plateale, mentre il suo ex rivale alle primarie del 2012, Mitt Romney, ha sorpreso tutti dichiarandosi favorevole alla sua destituzione.

Ma al contempo la confusione delle primarie in Iowa, il discorso trionfalista al congresso e la prevedibile assoluzione in senato sono state tutte buone notizie per un presidente in piena campagna elettorale. La popolarità di Trump è in aumento, e sorprendentemente sfiora il 50 per cento.

Ottimo candidato
Trump è diventato imbattibile? No, non lo è, e sostenerlo significa commettere l’errore opposto rispetto a quello di chi, quattro anni fa, lo considerava ineleggibile. Ma diversamente da quanto si potesse immaginare, Trump è un ottimo candidato alla propria successione, a prescindere dal nome dello sfidante democratico.

Il problema è che le elezioni non si giocheranno sul bilancio dell’attività o sui fatti. Il discorso pronunciato da Trump davanti alle due camere somiglia a quelli dei suoi raduni elettorali, magari con un po’ meno improvvisazione e ferocia. Trump parla alla sua base che non ha bisogno di fatti, e tenta di ampliarla sostenendo che gli Stati Uniti non sono mai stati così forti e rispettati. Il suo ingranaggio, evidentemente, è ben oliato.

Trump si vanta di essere l’artefice di tutti i successi degli Stati Uniti e gli elettori lo ascoltano

Trump ha perfino sperimentato un nuovo slogan che potrebbe sostituire il “Make America great again” del 2016, presentandosi come “il presidente che ha messo fine al declino dell’America”.

Naturalmente è un’affermazione falsa, anche se merita una riflessione. Nel 2008, ai tempi della crisi dei subprime e alla fine dell’era Bush e delle sue guerre interminabili, l’idea di un declino degli Stati Uniti era abbastanza fondata. Nello stesso anno la Cina trionfava con i giochi olimpici di Pechino e cominciava a credere che il suo momento fosse finalmente arrivato.

I meriti del successivo “come back” statunitense vanno ascritti soprattutto a Barack Obama, ma anche alla Silicon valley e alla ripresa di quella che resta la prima economia mondiale. Trump si vanta di essere l’artefice di tutti i successi, ma è chiaramente un’esagerazione.

Piuttosto non ha rallentato il declino dell’influenza degli Stati Uniti nel mondo, soprattutto presso i presunti alleati che ormai diffidano apertamente di Washington. Ma questo aspetto non influenzerà la decisone degli elettori statunitensi, perché troppo lontano e astratto.

E così noi che non votiamo negli Stati Uniti siamo costretti a contemplare l’idea di altri quattro anni di Trump, non esattamente una buona notizia per il clima e gli altri ambiti internazionali in cui il presidente fa tutto ciò che gli passa per la testa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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