18 marzo 2020 10:02

C’è un paese dove il disastro sanitario si abbina a una catastrofe geopolitica. L’Iran, terzo paese al mondo nella classifica del numero di vittime del coronavirus dopo la Cina e l’Italia, conta ormai un migliaio di morti e un’epidemia che non accenna a rallentare.

Il regime iraniano inizialmente ha nascosto la gravità della situazione perché l’epicentro dell’epidemia si trova a Qom, città santa per gli sciiti. Alla fine, però, Teheran ha dovuto arrendersi e ha ordinato la chiusura dei siti di pellegrinaggio per evitare assembramenti. Eppure alcuni video recenti mostrano una folla inferocita che cerca di forzare le pesanti porte dei luoghi sacri. Un manifestante ha dichiarato che il sito non è mai stato chiuso in quattordici secoli e ha parlato di eresia.

A causa della crisi sanitaria il 17 marzo l’Iran ha liberato 85mila prigionieri, tra cui la detenuta iraniano-britannica Nazanin Zaghari-Ratcliffe. Speriamo che anche i due ricercatori francesi incarcerati a Teheran e accusati di spionaggio, Fariba Adelkhah e Roland Marchal, siano liberati.

Gli aiuti dalla Cina
La lentezza e le contraddizioni del sistema iraniano sarebbero ostacoli già sufficientemente difficili di fronte alla sfida del virus. Ma il paese deve subire anche le sanzioni economiche imposte unilateralmente da Donald Trump dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare del 2015.

Le sanzioni hanno un impatto innegabile sulla lotta contro l’epidemia. Il settore sanitario non è sottoposto alle sanzioni, ma l’Iran non può più accedere ai mercati finanziari e dunque non riesce a rifornirsi di materiale medico dall’estero, oltre a subire un embargo petrolifero che lo priva della sua principale risorsa.

Il risultato è che Teheran riceve aiuti dalla Cina, paese che ha assunto una grande importanza per l’Iran, e utilizza mezzi piuttosto rudimentali per affrontare l’epidemia.

Il meccanismo dello scontro tra Washington e Teheran resta inalterato nonostante l’epidemia

All’inizio della settimana la Cina ha chiesto agli Stati Uniti di cancellare le sanzioni per permettere all’Iran di contrastare efficacemente l’epidemia. È una richiesta sensata, considerando che il Covid-19 sta colpendo tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti. Gli europei si sono impegnati a sostenerla, ma ci sono poche possibilità che da Washington arrivi il via libera. Tanto più che negli ultimi giorni, in Iraq, si sono verificati scontri tra gli statunitensi e le milizie sciite filoiraniane. Non esattamente un clima di distensione, anche considerando che non è passato molto tempo dalla morte del generale Soleimani.

Il 17 marzo gli Stati Uniti hanno addirittura imposto nuove sanzioni nei confronti di tre iraniani legati al programma nucleare. Le sanzioni non avranno un gran peso sul quadro generale, ma dimostrano che il meccanismo dello scontro resta inalterato nonostante l’epidemia.

Il prossimo test arriverà quando Washington deciderà se bloccare o autorizzare il prestito da cinque miliardi di dollari chiesto da Teheran, le cui casse sono vuote, al Fondo monetario internazionale.

Si potrebbe presumere che la lotta comune contro un virus che non conosce né frontiere né ideologie né religioni possa smorzare le tensioni internazionali. E invece accade il contrario, perché ognuno pensa per sé.

Al popolo iraniano resta una profonda sensazione di abbandono che dà un gusto amaro alla grande festa del Newroz, il capodanno persiano, in programma questa settimana.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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