02 giugno 2020 09:52

La polemica tra Donald Trump e Twitter può sembrare ridicola e fuori luogo rispetto a quello che sta succedendo in questi giorni negli Stati Uniti, ma in realtà è piuttosto seria e ha ripercussioni a livello mondiale per il valore considerevole che hanno assunto Facebook, Twitter, YouTube e le altre piattaforme digitali nella nostra vita, nei movimenti sociali e addirittura nei rapporti internazionali.

Riassumiamo la vicenda: Twitter, il social network preferito da Trump con cui si rivolge ogni giorno a 81 milioni di follower, ha commesso un reato di lesa maestà. La direzione della piattaforma ha emesso due richiami relativi a due tweet del presidente: nel primo caso ha messo in guardia i lettori rispetto alla veridicità del contenuto, mentre nel secondo ha ipotizzato un’istigazione alla violenza. La decisione di Twitter non ha precedenti nella storia. Trump, come prevedibile, ha reagito in modo feroce.

Il presidente ha firmato un “ordine esecutivo” sulla “prevenzione della censura online” e ha avviato una procedura che potrebbe privare le piattaforme digitali dell’immunità rispetto ai contenuti pubblicati. In sintesi, se finora i social network sono stati considerati semplici “canali di diffusione”, in futuro potrebbero essere penalmente responsabili per tutto ciò che viene pubblicato nei loro spazi. Si tratta evidentemente di una rivoluzione.

Zuckerberg teme chiaramente un eccesso di regolamentazione e addirittura lo smantellamento di Facebook

Il decreto di Trump ha aperto un acceso dibattito, ma ha anche alimentato una discreta confusione. La personalità controversa del presidente, infatti, confonde le carte in tavola, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali di novembre.

Tuttavia l’aspetto più interessante riguarda ciò che sta accadendo nel contesto dei social network. La sorpresa è arrivata da Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, che si è schierato di fatto dalla parte di Trump prendendo in contropiede Jack Dorsey, il fondatore di Twitter.

“Facebook non deve diventare l’arbitro della verità” ha dichiarato Mark Zuckerberg, precisando che non sta a lui “moderare” gli interventi di Trump sui social network. Numerosi dirigenti di Facebook hanno pubblicamente espresso il loro disappunto rispetto all’opinione del capo, ma Zuckerberg teme chiaramente un eccesso di regolamentazione e addirittura lo smantellamento di Facebook (come minacciato da alcuni democratici) dunque ha scelto la strada della prudenza.

Il peso delle piattaforme digitali nel dibattito pubblico è così elevato che in gioco ci sono la libertà d’espressione e la libertà d’informazione, che tra l’altro sono due cose ben diverse.

Mentre le responsabilità dei mezzi d’informazione sono chiaramente definite, quelle delle piattaforme digitali sono abbastanza vaghe. Zuckerberg non vuole essere “l’arbitro della verità”, ma di fatto lo è diventato, perché l’algoritmo di Facebook influenza considerevolmente quello che leggiamo o non leggiamo.

Sicuramente è necessario trovare un equilibrio tra la libertà e la responsabilità, ma è molto difficile definire chi deve essere responsabile. In un mondo caratterizzato dalle fake news (comprese quelle di provenienza presidenziale), dalle manipolazioni e dall’emotività è sicuramente avventato lasciare campo libero alle piattaforme digitali. Da questo punto di vista Donald Trump non ha torto, nonostante la sua posizione sia chiaramente interessata.

In ogni caso, per una volta, il presidente statunitense ha aperto un dibattito salutare che andrebbe affrontato anche in Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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