26 ottobre 2020 10:11

A Recep Tayyip Erdoğan non si può certo rimproverare la mancanza di fiuto politico. Anzi, questa è una delle sue qualità principali. Non sorprende, dunque, che il presidente turco abbia rapidamente colto l’occasione politica nella tempesta scatenata dall’omicidio di Samuel Paty.

Erdoğan ha reagito alla sua maniera, ovvero come un tribuno populista che non rinuncia mai a un eccesso linguistico per soddisfare il suo pubblico e garantirsi la massima risonanza. In questo caso l’ha fatto avanzando dubbi sulla “sanità mentale” di Emmanuel Macron, un’aggressione sorprendente se consideriamo che la Francia è teoricamente un alleato della Turchia.

Esistono due modi per analizzare l’ultima provocazione di Erdoğan: il primo è di considerarla l’ennesima occasione di frizione tra i due paesi (in conflitto nel Mediterraneo orientale, in Siria, in Libano e nel Nagorno Karabakh). Parigi e Ankara si ritrovano regolarmente contrapposte, e in passato Erdoğan aveva già pronunciato parole poco amichevoli nei confronti del suo collega francese. La seconda lettura è legata alla battaglia per il controllo dell’islam. Il presidente turco si presenta come “sultano” protettore dei musulmani, come ai tempi dell’impero ottomano a cui si ispira.

L’obiettivo ideale
La settimana scorsa ho parlato delle critiche rivolte a Macron dalla moschea Al Azhar, la più alta istanza sunnita con sede al Cairo, con la proposta del rettore di istituire una legge mondiale contro la blasfemia. Erdoğan ha subito rilanciato, perché non intende lasciare ad Al Azhar il monopolio della critica.

In questo contesto la Francia è un obiettivo ideale. La laicità francese è una fonte costante di malintesi con il mondo musulmano, dai dibattiti burrascosi sul velo alle vignette su Maometto. Sono rari i musulmani tradizionalisti (non necessariamente islamisti) che posseggono la chiave per comprendere il contesto francese.

Come dimostra l’avvio di un boicottaggio dei prodotti francesi, esiste un terreno fertile per una tempesta irrazionale

Erdoğan attacca la Francia anche perché convinto che l’Europa sia in una fase di decadenza e non meriti alcun rispetto. Non lo abbiamo ancora sentito criticare la Cina a proposito della persecuzione degli uiguri musulmani. È questione di rapporti di forza.

La Francia non ha alcun interesse a mettersi sullo stesso livello di Erdoğan ed entrare in una guerra di parole. Ma al contempo non può lasciare al presidente turco, alleato dei Fratelli musulmani, il monopolio della parola e della passione verso le masse musulmane. Come dimostra l’avvio di un boicottaggio dei prodotti francesi, esiste un terreno fertile per una tempesta irrazionale.

Anche la voce della Francia deve farsi sentire nel mondo musulmano, per spiegare la laicità francese. Nel suo discorso sul “separatismo” pronunciato all’inizio di ottobre, Macron aveva messo in guardia contro la trappola di “stigmatizzare tutti i musulmani” laddove bisognerebbe concentrarsi su quelli che non accettano la repubblica. Negli ultimi giorni, evidentemente, la Francia non è riuscita a sfuggire a questa trappola.

Il discorso della Francia non è abbastanza udibile nel mondo musulmano. L’altra trappola, infatti, consiste nel permettere a Erdoğan di presentarsi come difensore dei musulmani in Francia e nel resto del mondo. Dietro le parole al vetriolo del presidente turco c’è un progetto politico ben più temibile degli insulti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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