03 marzo 2021 09:56

È la regione che da decenni assorbe le energie dei presidenti degli Stati Uniti, anche quando tentano di “svoltare” verso l’Asia. Joe Biden non fa eccezione, e si trova impegnato in una ridefinizione complessa della posizione degli Stati Uniti in Medio Oriente.

Il presidente ha lanciato due iniziative parallele, che non sono necessariamente legate: una in direzione dell’Arabia Saudita, con l’accusa rivolta al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman di aver ordinato l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, e l’altra sulla complessa vicenda del nucleare iraniano.

I due temi sono accomunati da due elementi. Prima di tutto, evidentemente, il fatto che tra l’Iran e l’Arabia Saudita serpeggi un’ostilità feroce, e che gli Stati Uniti abbiano una lunga storia di conflitti con Teheran e di alleanza con Riyadh. Il secondo legame è invece Donald Trump, che aveva attaccato senza sosta l’Iran e rafforzato un rapporto con la famiglia reale saudita e dunque con il regno.

Marcare il territorio
In un contesto così complesso, Biden avanza con prudenza, forse troppa per poter incidere davvero.

Il 26 febbraio la Casa Bianca ha compiuto un gesto di un’audacia rara, rendendo pubblica la nota dei servizi segreti americani sull’omicidio del giornalista saudita nel 2018. La nota accusa direttamente il principe ereditario dell’omicidio di Khashoggi.

Ma Biden non è andato fino in fondo nella logica secondo cui, una volta indicato il mandante dell’omicidio di un giornalista rifugiato negli Stati Uniti nonché collaboratore del Washington Post, si dovrebbero prendere provvedimenti contro di lui. Il presidente ha marcato il proprio territorio, ma non ha voluto destabilizzare ulteriormente l’Arabia Saudita, paese chiave del Medio Oriente. In questo modo ha deluso le persone che si attendevano di più da lui.

Questa regione ha il potere di attirare l’attenzione di Washington

Senza dubbio Biden non poteva indebolire troppo l’Arabia Saudita in un momento in cui tenta un riavvicinamento con l’Iran, nemico giurato di Riyadh. Anche in questo caso i primi passi hanno permesso di riallacciare un dialogo aperto all’epoca di Obama, che Trump aveva tentato di sabotare con un certo successo. Il 1 marzo il presidente francese Emmanuel Macron ha telefonato al capo di stato iraniano Hassan Rohani per tentare una mediazione, senza grandi risultati.

In un mondo ideale il presidente americano amerebbe ricalibrare gli impegni degli Stati Uniti in Medio Oriente per potersi concentrare sulla rivalità “esistenziale” con la Cina.

Ma la situazione resta immutata da decenni: anche se gli interessi strategici americani sono meno forti di prima e la dipendenza dal petrolio del Golfo è stata largamente superata, questa regione ha il potere d attirare l’attenzione di Washington.

Biden non vuole essere un nuovo Obama, il cui bilancio in politica estera è macchiato dalla decisione fatidica di non agire in Siria dopo gli attacchi chimici del 2013. Simbolicamente, il nuovo presidente ha lanciato il suo primo attacco militare proprio in Siria, la settimana scorsa.

Restano da portare a termine le due iniziative diplomatiche, senza destabilizzare l’Arabia Saudita né fare troppe concessioni a un Iran molto impopolare negli Stati Uniti. Sarà il primo test di un mandato destinato in parte a riparare agli errori commessi dall’amministrazione precedente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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