18 gennaio 2022 09:45

In Yemen assistiamo a una nuova escalation in una guerra che dura ormai da sette anni e che dopo aver devastato il paese continua a non trovare una soluzione a causa delle sue implicazioni regionali.

L’attacco del 17 gennaio ad Abu Dhabi – tre morti, depositi di petrolio distrutti e un incendio nell’aeroporto – è senza precedenti. Gli huthi, ribelli yemeniti sostenuti dall’Iran, hanno rivendicato l’attacco compiuto a 1.200 chilometri di distanza dal loro territorio, e dichiarano di aver utilizzato missili balistici e droni. Gli Emirati Arabi Uniti confermano soltanto la presenza di droni.

Finora gli huthi avevano impiegato missili e droni contro la vicina Arabia Saudita, paese che ha scatenato la guerra contro di loro sette anni fa. La maggior parte dei missili lanciati verso l’Arabia Saudita è stata intercettata dalle difese del regno, ma alcuni hanno raggiunto l’obiettivo, per esempio, nel 2019, delle strutture petrolifere.

L’attacco del 17 gennaio è una dimostrazione di forza da parte degli huthi, e avrà pesanti conseguenze.

Come sottolinea l’International crisis group (un centro di ricerca con base a Bruxelles) nel suo studio sui conflitti da seguire nel 2022, lo Yemen è scomparso dal radar mediatico ma ha comunque vissuto un’escalation militare considerevole durante il 2021.

Negli ultimi mesi gli huthi si sono avvicinati a una zona cruciale, ovvero la provincia di Marib, ricca di petrolio e gas, e hanno fatto scattare l’allarme a proposito dei loro mezzi militari. Una vittoria a Marib potrebbe risultare decisiva e questo preoccupa l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che hanno impiegato importanti risorse per combattere i ribelli.

Gli huthi giustificano l’attacco del 17 gennaio considerandolo una risposta ai raid dell’aviazione degli Emirati. All’inizio del mese si era verificato un altro scontro tra i due fronti quando gli huthi avevano intercettato una nave che batteva bandiera degli Emirati al largo del porto yemenita di Al Hodeida.

Queste manovre militari si svolgono nel contesto di una tragedia umanitaria che non è stata fermata dai timidi accenni di tregua e dai negoziati degli ultimi due anni.

Tutto è collegato
Il conflitto è senza soluzione perché la dimensione regionale coinvolge l’Iran e i suoi rivali del Golfo, l’Arabia Saudita e gli Emirati. Questi paesi combattono “per interposti yemeniti” ed evitano di scontrarsi direttamente (cosa che avrebbe una dimensione ancora più grave).

Ma in questa regione tutto è collegato. I negoziati tra l’Iran e i firmatari dell’accordo sul nucleare si stanno avvicinando alla loro conclusione a Vienna senza che si possano fare previsioni sull’esito: un nuovo accordo fermerebbe il processo nucleare iraniano, mentre un fallimento avrebbe conseguenze incalcolabili.

Intanto continuano i contatti diretti tra sauditi e iraniani, anche in questo caso senza risultati tangibili. Al momento alcuni diplomatici iraniani si trovano a Riyadh, per la prima volta dal 2016.

L’unica certezza in questo complesso paesaggio regionale è che il conflitto yemenita è durato fin troppo. L’escalation di Abu Dhabi, a 1.200 chilometri dal fronte, ne è la prova. Questa guerra è ormai molto lontana dalla sua causa iniziale, ma nessuno è in grado di fermare il massacro, o forse nessuno vuole farlo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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