04 luglio 2022 10:16

Gli storici della guerra in Ucraina avranno grosse difficoltà a spiegare come mai la Germania abbia versato oltre dieci miliardi di dollari alla Russia dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, seguita dall’Italia e dai Paesi Bassi con otto miliardi e dalla Francia con quattro miliardi. Da un lato l’occidente ha imposto sanzioni economiche per punire l’aggressione russa, ma dall’altro ha rimpinguato le casse dell’aggressore.

Da queste cifre emerge tutta la difficoltà di sanzionare la Russia. In primo luogo è chiaro che questa guerra non rientrava tra gli scenari possibili valutati dagli europei, che hanno stretto legami di dipendenza energetica con la Russia. Al contrario, l’Europa pensava che questi scambi commerciali avrebbero reso la guerra impossibile, come era successo tra Francia e Germania quando è stata creata la Comunità del carbone e dell’acciaio, antesignana dell’Unione europea.

Inoltre da queste cifre emerge la difficoltà di riorientare rapidamente i flussi energetici: nei prossimi mesi l’Europa continuerà a consegnare armi all’Ucraina e miliardi di dollari alla Russia. Questa è soltanto una delle contraddizioni della politica delle sanzioni imposte dall’Unione e dai suoi alleati occidentali in sei ondate dopo il 24 febbraio, la cui efficacia è al centro di un dibattito.

Niente impedisce ai paesi terzi di commerciare con la Russia, e diversi governi non si sono privati di questa possibilità

In un intervento pubblicato il 3 luglio sul Journal du dimanche, l’alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera Josep Borrell ha difeso l’efficacia delle sanzioni: “Stanno già cominciando a far sentire i propri effetti e lo faranno sempre di più nel corso dei prossimi mesi”, ha dichiarato.

Borrell ha citato la riduzione progressiva del ricorso agli idrocarburi russi, il fatto che le sanzioni limitino la capacità russa di produrre missili di precisione e la prudenza di Pechino rispetto alle consegne alla Russia di prodotti altamente tecnologici, dovuta al timore di subire a propria volta le sanzioni occidentali.

Ma una delle debolezze di questo meccanismo è legata al fatto che le sanzioni sono unilaterali e non sono decise dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. È inevitabile, considerando che la Russia dispone di un diritto di veto, ma la conseguenza è che le misure sono volontarie e non imperative. Questo significa che niente impedisce ai paesi terzi di commerciare con la Russia, e diversi governi non si sono privati di questa possibilità.

Pensiamo soprattutto all’India, il cui primo ministro Narendra Modi è stato invitato la settimana scorsa al vertice del G7, ma che ha sensibilmente incrementato da febbraio le importazioni di petrolio russo, acquistato a prezzo ridotto. Ancora più sorprendente, l’India ha importato carbone russo pagando in yuan, la monete cinese. Il rischio è che emerga un mondo parallelo capace di ridurre l’impatto della sanzioni sul sistema di pagamento Swift, regolato in dollari, a beneficio della moneta cinese. Non certo l’effetto sperato…

Un altro esempio della complessità della vicenda: una nave piena di cereali salpata da un porto ucraino controllato dalla Russia è arrivata in un porto turco. L’Ucraina ha parlato di furto e ha chiesto alla Turchia, paese della Nato, di non rendersene complice. Il 3 luglio la Turchia ha bloccato il carico per effettuare alcune indagini. Sarà un test importante.

Il ricorso alle sanzioni economiche per scongiurare o mettere fine ai conflitti armati è stato legittimato oltre un secolo fa, dopo la prima guerra mondiale. Ma oggi è chiaro, soprattutto quando l’aggressore è una grande potenza, che le sanzioni possono essere necessarie ma sicuramente non sono sufficienti per fermare la guerra.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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