16 gennaio 2023 10:13

Il missile russo che nel pomeriggio del 14 gennaio ha colpito un edificio residenziale a Dnipro, nell’est dell’Ucraina, ha provocato almeno trenta morti civili, un bilancio che continua a peggiorare con la scoperta di altri corpi sotto le macerie. Si tratta evidentemente di un crimine di guerra, perché nel quartiere non c’erano obiettivi legittimi.

Ma questo bombardamento dice molto anche su ciò che succede sul versante russo. Il missile usato ha il codice Kh-22: è un missile concepito per affondare una portaerei, un’arma di precisione lanciata da un aereo a centinaia di chilometri di distanza che non avrebbe avuto alcun motivo di essere usata per colpire quell’obiettivo.

Questa sproporzione tra il tipo di arma e il bersaglio potrebbe indicare una penuria di missili sul fronte russo, dopo settimane di attacchi contro le città ucraine. Il fatto di attingere fino a questo punto alle riserve russe – il Kh-22 può trasportare cariche nucleari – non si spiega in nessun altro modo. Le fabbriche di armamenti russe operano a pieno regime, ma per il momento non cambiano la situazione sul campo.

Cadono i tabù sulle armi
L’attacco dimostra che l’escalation prosegue implacabile, tappa dopo tappa, in una guerra che purtroppo appare inarrestabile allo stato attuale.

Uno dopo l’altro, cadono i tabù a proposito dei tipi di armamenti forniti dagli occidentali all’esercito ucraino. Nel fine settimana i britannici hanno annunciato che invieranno in Ucraina carri Challenger-2, il blindato occidentale più pesante consegnato fino a oggi.

Fin dall’inizio della guerra gli occidentali esitano a favorire qualsiasi crescendo con il tipo di armamenti forniti

Da giorni, dietro le quinte, si svolge un dibattito animato da esperti e funzionari politici a proposito degli armamenti reclamati dall’Ucraina. La consegna delle armi richieste permetterebbe a Kiev di affrontare meglio le offensive russe come quella che ha portato alla perdita della città mineraria di Soledar o la minaccia che incombe sulla vicina città di Bakhmut.

La Polonia ha già consegnato all’Ucraina vecchi carri di fabbricazione sovietica appartenenti alle sue riserve, ma gli occidentali finora si sono rifiutati di inviare i loro veicoli più moderni. La Francia ha fatto un primo gesto con l’annuncio della consegna di blindati leggeri Amx-10-Rc, ma continua a rifiutarsi di inviare i Leclerc, la categoria superiore.

A Parigi si difendono sottolineando di volere una vittoria dell’Ucraina, ma anche di voler adattare la consegna di armi a ciascuna tappa della guerra. La questione dei carri Leclerc è definita “ipotetica”, ma dopo la decisione britannica c’è da scommettere che diventerà attuale.

Fin dall’inizio della guerra gli occidentali esitano a favorire qualsiasi escalation a proposito del tipo di armamenti, una prudenza sicuramente necessaria considerando che l’avversario è la Russia, ma che all’atto pratico ritarda la modernizzazione dell’esercito ucraino. La difficoltà è legata alla disponibilità degli armamenti. La Francia e l’Europa devono gestire la scarsa abbondanza delle loro riserve e la lentezza delle loro catene di produzione. La Germania fa sapere che non potrà consegnare i carri Leopard prima del 2024.

Al dilemma dell’urgenza, come nel caso di Dnipro o Bakhmut, si aggiungono dolorose valutazioni strategiche. La guerra in Ucraina non ha ancora finito di creare scompiglio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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