23 novembre 2023 09:12

Se i termini dell’accordo che prevede lo scambio di ostaggi e prigionieri tra Israele e Hamas saranno rispettati, nelle prossime ore potremmo assistere a scene cariche di emozione, sia sul versante israeliano sia su quello palestinese.

Evidentemente non c’è niente che lega i civili presi in ostaggio il 7 ottobre da Hamas, tra cui diversi bambini, e dei prigionieri condannati per azioni spesso violente e legate alla lotta palestinese. Quello che hanno in comune è il ruolo centrale che occupano nell’immaginario collettivo dei due popoli, e di conseguenza l’impatto politico della loro liberazione.

Gli ostaggi sono un trauma nella storia israeliana
Dagli anni sessanta, una serie di sequestri ha segnato la vita del paese. Costringendolo a passare dall’intransigenza al negoziato
 

Anche i contesti sono molto diversi. Il destino dei 240 ostaggi ancora in mano ad Hamas ha avuto un peso rilevante nella decisione presa dal governo israeliano di accettare una pausa nelle operazioni devastanti nella Striscia di Gaza. Le famiglie degli ostaggi hanno manifestato a Gerusalemme e mobilitato gli israeliani nelle piazze e attraverso i mezzi di informazione. I sondaggi indicano che sono riuscite a creare una maggioranza a sostegno della liberazione anche a scapito degli obiettivi militari del governo.

Benjamin Netanyahu ha preso la sua decisione quando ha capito la portata del fenomeno. Il primo ministro israeliano ha impiegato molto tempo prima di ricevere le famiglie degli ostaggi e ha rifiutato una prima offerta di accordo una settimana prima di cedere. Ostinarsi sarebbe stato un errore. Gli israeliani, che già lo ritengono responsabile del fallimento del 7 ottobre, non glielo avrebbero perdonato. In questo modo Netanyahu ha cambiato il corso di questa guerra, che non sarà più la stessa.

Sull’altro fronte la questione è molto diversa. I prigionieri sono un elemento centrale della causa palestinese e hanno creato un legame forte tra le famiglie, che va oltre le divisioni politiche. Nelle carceri israeliane sono rinchiusi 7.200 prigionieri politici. Tutte le famiglie hanno un parente che è stato incarcerato almeno per un giorno. La scarcerazione di circa 150 persone avrà dunque un peso rilevante per la società palestinese.

I benefici politici di questa liberazione andranno sicuramente ad Hamas, che può rivendicarne il merito. È la trappola in cui il movimento islamista ha trascinato Israele con l’attacco del 7 ottobre.

Il governo israeliano, consapevole di questa dinamica, ha vietato qualsiasi celebrazione per la liberazione dei prigionieri a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Solitamente il ritorno a casa di uno di loro è festeggiato da tutta la comunità palestinese, ma Israele vuole evitare che lo scambio sia visto come un successo degli islamisti.

Se oggi si tenessero elezioni in Cisgiordania, Hamas le vincerebbe senza dubbio. Questa certezza sottolinea le difficoltà che aspettano gli occidentali nel loro progetto di rimettere in sella un’Autorità palestinese “rivitalizzata”, per usare un’espressione di Joe Biden. Abu Mazen è visto come impotente davanti a Israele, mentre Hamas può vantarsi di aver fatto liberare dei prigionieri. Un confronto crudele.

Oltre all’aspetto umano, che è importante, esiste una posta in gioco politica nello scambio, che peserà parecchio sul futuro di questa guerra asimmetrica.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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