12 dicembre 2023 10:57

E se gli Stati Uniti si ritrovassero coinvolti in una terza guerra? Per una superpotenza come quella americana la domanda non è mai incongrua.

Oggi gli Stati Uniti sono impegnati in due guerre: in Ucraina indirettamente, con la fornitura di armi e denaro, e in Israele in modo più diretto, con la consegna di munizioni, un dispiegamento di forze militari nella regione e un ricorso al veto alle Nazioni Unite.

Ma ora questo doppio coinvolgimento è diventato problematico. Secondo un sondaggio del Financial Times, infatti, quasi un americano su due pensa che il governo “spenda troppo” per aiutare l’Ucraina, contro un 27 per cento che ritiene la spesa “adeguata” e appena un 11 per cento che la considera “insufficiente”.

Oggi, 12 dicembre, Volodymyr Zelenskyj è a Washington per confrontarsi con questa mancanza di entusiasmo, in un momento in cui Joe Biden non riesce a far approvare un finanziamento da 60 miliardi per l’Ucraina. Biden si scontra con l’ostilità dei repubblicani, che il presidente ucraino cercherà di ammorbidire.

Rispetto al Medio Oriente la problematica è diversa: Biden deve gestire l’opposizione di una parte dei suoi elettori (in particolare i giovani democratici) nei confronti della sua scelta di sostenere la strategia di Israele dopo il 7 ottobre. In entrambi i casi, però, in gioco c’è la credibilità dell’impegno americano.

Da queste considerazioni nasce l’ipotesi dell’apertura di un terzo “fronte”. In quest’ottica è doveroso tenere in seria considerazione gli incidenti che si stanno verificando nel Mar cinese meridionale tra la marina cinese e quella filippina a proposito di un isolotto conteso. Negli ultimi mesi le Filippine si sono riavvicinate agli Stati Uniti, a cui hanno concesso quattro basi militari supplementari situate davanti a Taiwan, l’isola che Pechino vuole recuperare a ogni costo.

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Non è incoerente ipotizzare che Pechino stia mettendo alla prova le reazioni americane. Davvero gli Stati Uniti, impegnati altrove, hanno la voglia o la capacità di partecipare a uno scontro per difendere uno scoglio simbolico al largo delle coste cinesi?

Per gli Stati Uniti è sempre legittimo interrogarsi sulla propria credibilità, alla luce dello status del paese. La catastrofica partenza da Kabul nell’agosto del 2021, per esempio, è stata chiaramente interpretata da Mosca come il segnale che Washington non avrebbe reagito all’invasione dell’Ucraina, arrivata appena sei mesi dopo. Allo stesso modo, oggi un abbandono dell’Ucraina potrebbe mandare un segnale simile alla Cina.

Lo status di superpotenza obbliga gli Stati Uniti a rimettere in gioco la propria credibilità ogni volta che si presenta una crisi o emerge una sfida da parte di un’altra potenza. Ma la vera domanda riguarda il desiderio degli americani di mantenere ancora questo rango.

A meno di un anno dalle presidenziali e con l’ombra minacciosa di Donald Trump, il rischio è quello di uno scontro tra due visioni contraddittorie del mondo e del ruolo degli Stati Uniti. Gli elettori americani non voteranno a favore o contro gli aiuti all’Ucraina, il sostegno a Israele o l’impegno nel Mar cinese meridionale, ma la loro scelta avrà enormi ripercussioni su queste tre crisi.

Questa incertezza rende il mondo ancora più pericoloso, perché gli avversari dell’occidente potrebbero convincersi che Washington non ha né l’intenzione né i mezzi per essere presente su tutti i fronti. In questa situazione, naturalmente, aumenta la responsabilità sulle spalle dell’Europa, almeno per quanto riguarda gli aiuti all’Ucraina. Ma anche il vecchio continente ha un grosso problema di credibilità.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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