Il 2 gennaio Israele ha assestato il suo colpo più duro ai vertici di Hamas, il movimento islamista responsabile del massacro del 7 ottobre. Ma l’operazione non è stata compiuta nella Striscia di Gaza, martoriata incessantemente da quasi tre mesi, ma a Beirut, in Libano.

Un drone israeliano ha ucciso il numero due di Hamas, Saleh al Arouri, mentre si trovava nella sede del movimento alla periferia sud di Beirut, feudo dell’organizzazione filoiraniana Hezbollah. È proprio Hezbollah ad aver confermato la morte del leader di Hamas, accusando Israele.

Saleh al Arouri era una figura di spicco. Il mese scorso il quotidiano francofono libanese L’Orient-Le Jour aveva ricordato che il suo trasferimento in Libano, a partire dal 2018, aveva segnato l’ascesa di Hamas nel paese: sia attraverso un lavoro politico nei campi palestinesi; sia grazie a una presenza discreta del ramo militare del movimento, che preoccupava Israele.

I leader israeliani avevano bisogno di un successo dopo il 7 ottobre. Finora non ne hanno ottenuto uno chiaro nella Striscia di Gaza, malgrado la punizione di massa inflitta ai civili palestinesi. I due principali leader del movimento islamista nei territori palestinesi, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, sono introvabili. In questo senso l’eliminazione del numero due di Hamas è una boccata d’ossigeno per un primo ministro israeliano bersagliato dalle critiche.

Uccidendo un leader di Hamas all’estero, Israele ha accettato di correre il rischio di spingere ulteriormente Hezbollah verso uno scontro diretto con lo stato ebraico, che inevitabilmente trascinerebbe nella mischia anche un Libano ormai esangue.

Da quasi tre mesi la minaccia dell’apertura di un fronte a nord di Israele è continua, con un’escalation lenta e controllata da entrambe le parti. Israele ritiene che l’assassinio di un dirigente di Hamas non convincerà Hezbollah a scatenare una guerra, che a quel punto assumerebbe una portata diversa.

Ma esiste davvero questa possibilità? Tutto dipenderà dall’Iran. Hezbollah, infatti, non assumerebbe mai l’iniziativa senza l’autorizzazione di Teheran, che rifornisce l’organizzazione di armi e denaro.

L’Iran ha già accusato un primo colpo lo scorso 25 dicembre con la morte di uno degli ufficiali di alto rango dei Guardiani della rivoluzione, il generale Razi Moussavi, ucciso da un attacco israeliano in Siria. Teheran ha promesso che Israele avrebbe pagato “un prezzo salatissimo” per quell’omicidio mirato. Dunque la morte di Al Arouri rappresenta un secondo schiaffo per l’Iran, che da tre mesi gestisce accuratamente l’escalation del conflitto senza rischiare di restarvi intrappolato.

Stranamente questo improvviso aumento della tensione coincide con la decisione di Washington di richiamare la portaerei Gerald Ford, che si trovava nel Mediterraneo orientale da ottobre. La partenza dell’imbarcazione, che aveva un ruolo dissuasivo, è inspiegabile e dunque soggetta a interpretazioni contraddittorie.

Ancora una volta il Medio Oriente vive un momento decisivo, non tra la pace e la guerra, ma tra la guerra a Gaza e uno scontro regionale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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