16 gennaio 2024 09:22

Sono posti piccolissimi, ma queste isole si ritrovano al centro della nuova guerra fredda che sta prendendo forma in Asia. Nauru, nel sud del Pacifico, conta poco più di diecimila abitanti sparsi su 21 chilometri quadrati. Il 15 gennaio l’isola ha interrotto i rapporti diplomatici con Taiwan a favore della Repubblica popolare cinese.

Il governo di Taipei se lo aspettava. D’altronde, dopo l’elezione alla presidenza di Lai Ching-te, noto come William Lai e per essere duro con Pechino, sono arrivate le prevedibili rappresaglie cinesi. “La Cina ha tirato fuori il libretto degli assegni”, ha commentato con sobrietà un funzionario taiwanese.

Il metodo non è certo una novità. Oggi esistono solo tredici paesi al mondo che riconoscono Taiwan, nessuno dei quali ha un grande peso diplomatico, a eccezione del Vaticano. Pechino vuole isolare chi si oppone alla riunificazione.

Per Taiwan si tratta di un contrattempo ma non certo di un colpo particolarmente duro, anche perché l’isola ha già perso da tempo questa battaglia diplomatica. Taipei assegna un’importanza di gran lunga maggiore a una delegazione di ex funzionari statunitensi (democratici e repubblicani) arrivata il 14 gennaio per manifestare l’appoggio di Washington.

Allo stesso modo, Taiwan è sensibile ai messaggi di auguri fatti dai paesi occidentali, compresi quelli della Francia, anche se il comunicato del ministero degli esteri francese non ha citato né il nome del vincitore delle elezioni né la sua carica di presidente. Ma già il solo fatto di complimentarsi per lo svolgimento del processo democratico nell’isola è percepito come una breccia nell’isolamento politico imposto da Pechino.

La vicenda di Nauru fa parte delle grandi manovre a cui assistiamo da mesi nel Pacifico del sud. Pechino e Washington corteggiano le piccole isole della regione: la Cina offre collaborazioni nel campo della sicurezza, mentre gli Stati Uniti inaugurano nuove ambasciate e rilanciano la cooperazione economica.

L’altro caso riguarda le Maldive, arcipelago paradisiaco composto da un migliaio di isole nell’oceano Indiano, in cui vivono quattrocentomila persone. Situate a seicento chilometri dalle coste dell’India, le Maldive si trovano strette tra Pechino e New Delhi, i due giganti asiatici rivali.

Il 14 gennaio, appena tornato da una visita ufficiale in Cina, il nuovo presidente delle Maldive Mohamed Muizzu ha ordinato alle truppe indiane di stanza sul territorio dell’arcipelago di partire entro due mesi. I settanta soldati coinvolti (poca cosa) dispongono di due elicotteri e partecipano ai collegamenti sanitari tra le isole. Ma Muizzu aveva basato la sua campagna elettorale sullo slogan “via l’India dalle Maldive” e pende chiaramente verso Pechino.

Questa crisi si accompagna a uno scontro apparentemente bizzarro: il primo ministro indiano Narendra Modi si è fatto fotografare su una sedia sdraio in una spiaggia indiana per incoraggiare i suoi connazionali a restare nel paese invece di trascorrere le vacanze alle Maldive. I leader dell’arcipelago non l’hanno presa bene, anche perché il turismo è la prima fonte di reddito delle isole.

La guerra fredda a volte assume i tratti della commedia, ma la posta in gioco è assolutamente seria sul piano geopolitico e riguarda il ruolo della potenza cinese nel ventunesimo secolo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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