03 febbraio 2011 13:55

Nella rivolta del mondo arabo per la dignità, i diritti e la libertà, la Tunisia è stata il grilletto e l’Egitto il premio in palio.

Alla fine di gennaio al Cairo abbiamo assistito a una svolta che molto probabilmente porterà alla sostituzione del presidente Hosni Mubarak con una nuova leadership più vicina alle aspirazioni politiche della nazione.

Com’è successo in Tunisia, dove nell’arco di poche settimane i giovani sono riusciti a ottenere la destituzione del regime, la rivolta contro Mubarak e colleghi è esplosa rapidamente. Tuttavia, il coraggioso atto di sfida al potente stato di polizia egiziano è frutto di decenni di umiliazioni di massa nei confronti dei comuni cittadini, che nel gennaio del 2011 hanno improvvisamente reagito rifiutandosi di continuare a vivere in un sistema che nega i loro diritti elementari. I manifestanti chiedono inoltre la fine del regime trentennale di Mubarak, la cui mediocrità nell’esercizio del potere ha reso l’Egitto più povero e sempre meno influente.

Cinque eventi importanti

Il 30 gennaio cinque eventi importanti hanno contribuito a sancire l’inizio della fine dell’era Mubarak. Nelle strade di tutto il paese, e in particolar modo in piazza Tahrir al Cairo, i manifestanti hanno sfidato il coprifuoco e sono rimasti dov’erano. La maggior parte dei poliziotti si è dileguata, e i soldati che hanno preso il loro posto hanno subito messo in chiaro che il loro obiettivo non era sparare sulla folla per difendere il regime, ma mantenere l’ordine e proteggere gli edifici pubblici.

La combinazione tra la coraggiosa determinazione del popolo e il rifiuto delle forze di sicurezza di sparare sui cittadini ha segnato un punto di svolta per entrambi gli schieramenti. I manifestanti hanno capito che la loro causa è condivisa da molti egiziani, mentre gli agenti hanno fatto capire alla piazza, e al presidente, che la situazione può essere risolta solo con il dialogo.

Una nomina chiave

Il secondo episodio significativo è stata la nomina a vicepresidente del generale Omar Suleiman, una figura molto rispettata tra le forze armate. Il ruolo di vicepresidente è rimasto vacante negli ultimi trent’anni e la decisione di Mubarak indica probabilmente che il presidente ha capito di avere i giorni contati. Tuttavia, questa mossa non risolve nessun problema: mettere un generale settantenne al posto di un altro generale-presidente ancora più anziano non è il segno di una rinascita dell’Egitto ma la riaffermazione di una vecchia abitudine.

In ogni caso, anche se Suleiman non rimarrà in carica a lungo, la sua nomina è una mossa che faciliterà l’imminente uscita di scena di Mubarak.

Il terzo evento chiave è stato l’annuncio da parte del presidente del parlamento, Fathi Surour, che l’attuale composizione dell’assemblea sarà rivista alla luce di centinaia di ricorsi presentati dai cittadini dopo le elezioni politiche del novembre scorso, quando il Partito nazionale democratico (Npd) ha ottenuto l’81 per cento dei seggi.

Il fatto che sia stato proprio il presidente del parlamento a dare la notizia costituisce un’ammissione di illegittimità da parte delle istituzioni, che sono state monopolizzate e degradate dal controllo totale dell’Npd e delle agenzie di sicurezza.

Il quarto sviluppo significativo è stato la dichiarazione di sostegno ai dimostranti da parte di alcuni rappresentanti dell’associazione dei giudici egiziani. Questa presa di posizione testimonia la convergenza tra la volontà dei manifestanti di mandare via Mubarak e l’impegno a mantenere la legalità rappresentata dai giudici. Negli ultimi anni i magistrati sono stati una delle poche istituzioni in grado di contrastare il regime, conservando allo stesso tempo la fiducia dei cittadini.

Tutti contro uno

Il quinto segnale dell’imminente democratizzazione dell’Egitto è stata la notizia che i principali movimenti di opposizione hanno fondato una coalizione nazionale per il cambiamento, incaricando Mohammed el Baradei di negoziare la transizione dal governo di Mubarak verso un esecutivo più rappresentativo e democratico.

I Fratelli musulmani, il più grande movimento di opposizione egiziano, d’ora in poi lavoreranno a fianco dei partiti laici e delle organizzazioni non governative che negli ultimi decenni hanno sfidato senza successo il presidente Mubarak. Questa nuova coalizione è importante perché potrebbe dare vita a una leadership temporanea, essenziale affinché le forze armate possano avere fiducia nel cambiamento in atto.

La somma di questi eventi indica che Mubarak ha i giorni contati. Tuttavia, la vera sfida non è solo una transizione morbida verso un sistema democratico. Il vero obiettivo è conferire una nuova legittimità all’intera struttura di governo e all’esercizio del potere. Questo processo è cominciato in Tunisia, si sta definendo in Egitto e lentamente finirà per diffondersi nell’intera regione.

*Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 883, 4 febbraio 2011*

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