18 gennaio 2016 12:30

L’annuncio del cancelliere austriaco Werner Faymann di una sospensione da parte del suo paese del trattato di Schengen è solo l’ultimo atto di una serie che sta diventando sempre più lunga e sta mettendo in discussione l’intera costruzione europea.

L’Austria si unisce ai vari altri paesi che hanno ristabilito i controlli alle frontiere, tra cui Francia, Svezia e Danimarca. In Germania, la questione è al centro del dibattito politico. Il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble ha recentemente dichiarato che la prassi dei confini interni aperti potrebbe essere vicina alla fine. Secondo un documento confidenziale emerso a Bruxelles, la Commissione starebbe prendendo in considerazione la possibilità di sospendere Schengen per un periodo di due anni.

La ragione addottata per tutte queste prese di posizione è la presunta incapacità degli stati che controllano la frontiera esterna, tra cui l’Italia, di gestire il flusso di migranti e profughi che entrano nell’area comune. Nel 2015, circa un milione di richiedenti asilo sono arrivati nello spazio europeo. Una cifra più alta rispetto all’anno precedente, ma che rappresenta lo 0,2 per cento dell’intera popolazione dell’Unione. A mo’ di paragone, il Libano accoglie 1,1 milioni di profughi siriani, che equivalgono a circa il 25 per cento della popolazione.

Il trattato di Schengen prevede la libera circolazione all’interno di un’area che comprende 26 paesi: la quasi totalità dei membri dell’Ue (con l’eccezione di Regno Unito, Irlanda, Romania, Bulgaria, Croazia e Cipro), più altri quattro (Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein). È in questo senso uno dei pilastri dell’intero impianto europeo, su cui negli anni si è costruito un comune senso di appartenenza. La possibilità di andare a studiare e lavorare in un paese diverso dal proprio è diretta conseguenza di una politica d’integrazione di cui la libera circolazione sancita da Schengen è uno degli elementi fondamentali.

È per questo che colpisce il silenzio con cui queste decisioni sono accolte dall’opinione pubblica europea. Quando l’estate scorsa il premier ungherese Viktor Orbán ha costruito un muro di filo spinato per “bloccare i migranti”, un grido d’indignazione ha attraversato tutto il continente. Ma, in definitiva, quello che stanno facendo i vari paesi che hanno sospeso Schengen è poi così diverso? I controlli ristabiliti alla frontiera non sono anch’essi una specie di muro invisibile, innalzato esattamente per lo stesso scopo?

Se per una specie di effetto domino l’intero sistema Schengen dovesse collassare, le conseguenze sarebbero incalcolabili, non solo per i migranti che avrebbero più difficoltà a circolare, ma soprattutto per i cittadini europei, che si ritroverebbero a vivere in un’Unione ormai priva di senso comune, ostaggio dei nazionalismi e frammentata in micro-stati sempre più ripiegati su se stessi.

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