L’età media dei 435 reattori nucleari attivi nel mondo è di 25 anni. Nell’Europa occidentale il 75 per cento dei reattori è nell’ultima metà del ciclo di vita, stimato tra i 40 e i 50 anni. L’età avanzata aumenta la probabilità di disfunzioni e incidenti. Oltre alla preoccupazione per l’invecchiamento delle centrali, il mondo sta scoprendo che gli impianti nucleari sono potenzialmente esposti ai fenomeni climatici estremi.

In Europa sono cresciute le proteste degli ambientalisti contro le centrali meno sicure. Dopo l’esplosione di Marcoule, la più vecchia centrale francese, è il caso di chiedersi se i paesi europei non debbano pensare a una rinuncia, graduale, ma irreversibile, al nucleare.

È innegabile il fatto che le classi politiche stanno cambiando opinione sull’atomo. Sono significative le parole di Martine Aubry, possibile candidata socialista all’Eliseo, secondo la quale si deve uscire “progressivamente ma senza indugi” dal nucleare. Le scelte di abbandonare l’atomo fatte dalla Germania e dalla Svizzera e l’esito del referendum italiano rafforzano il futuro orientamento europeo verso l’uscita.

La graduale sostituzione degli impianti nucleari, a partire dai più vecchi e pericolosi, con le nuove fonti sarebbe non solo ragionevole ma storicamente inevitabile. Come osserva Marzio Galeotti su lavoce.info, si accelererebbe così il raggiungimento della grid parity, cioè l’uguale convenienza economica con altre fonti di origine fossile.

Il fatto importante è che questo avverrebbe in condizioni di maggiore indipendenza energetica e di riduzione delle emissioni.

Internazionale, numero 916, 23 settembre 2011

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