30 settembre 2010 00:00

In anni passati, negli Stati Uniti e in Italia alcuni studiosi autorevoli sostennero che la linguistica non ha e non deve avere a che fare con insegnamenti e apprendimenti, con “cose da scuoletta”.

A Viterbo invece studiosi europei (anche italiani) e americani, riuniti a congresso dalla Società di linguistica italiana (dal 21 al 23 settembre), hanno ricordato l’importanza degli studi linguistici dedicati a sviluppi e scacchi degli apprendimenti poiché questi, pur in varia misura, coinvolgono sempre il linguaggio.

In effetti in alcuni momenti nodali del secolo passato è stata mobilitata proprio la corporazione dei linguisti operanti nei diversi paesi. Per tradurre in realtà, attraverso le scuole, progetti di affermazione dei diritti umani e di emancipazione.

Così in Urss negli anni venti, così durante la seconda guerra mondiale in Usa, poi nel mondo, per iniziativa dell’Unesco, quindi di nuovo in Usa dagli anni cinquanta e in Europa dagli anni novanta i linguisti sono stati coinvolti in grandi imprese di produzione di strumenti linguistici e percorsi di alfabetizzazione di massa o di apprendimento di lingue grandi e piccole: langues de civilisation di cui promuovere al meglio lo studio nel mondo, lingue meno diffuse, spesso prima d’uso solo orale e portate alla scrittura.

In condizioni diverse a seconda dei paesi e delle materie di studio, i deficit di linguaggio rallentano lo sviluppo scolastico e culturale. C’è da fare per la linguistica educativa se i linguisti vanno nelle scuole.

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